La rimozione della statua di Cristoforo Colombo al Tower Grove Park di St. Louis, in Missouri (foto: Laurie Skrivan/St. Louis Post-Dispatch via AP)

Il relativismo totalitario

Raffaele Romanelli

Non solo le statue. Non si può restare silenti di fronte al processo sommario contro l’uomo bianco. Lettera agli storici contemporanei sulla deriva puritana nella cultura occidentale

Lettera al presidente e al comitato direttivo della Sissco e al direttore del MdS.

 

Penso che la pressione di oggi sui simboli del passato chiami in causa il lavoro dello storico e che debba perciò richiamare l’attenzione della Sissco.

 

A meritare attenzione non sono tanto in se stessi il costume di distruggere, imbrattare, decapitare e rimuovere monumenti. Sono cose sempre avvenute da parte di movimenti collettivi, in fasi rivoluzionarie o eversive. Gli storici semmai studiano questi fenomeni, come simmetricamente studiano l’erezione dei monumenti stessi, la glorificazione o la costruzione di miti. Oltre a studiarli, come docenti gli storici ne spiegano agli studenti il significato, li attrezzano a comprendere, capire, distinguere, contestualizzare, a prendere le distanze. Come è ovvio, hanno il dovere di non partecipare essi stessi alla furia iconoclasta, ma anche di non tacerne prudenti come il conformismo tante volte ha suggerito loro.

 

Siamo oggi in grado di tenere la barra al centro, senza sbandare? Di leggere ciò che sta succedendo? Penso che la Sissco, se vuole onorare le sue finalità istituzionali debba porsi oggi questi interrogativi.

 

Un caso tra i tanti dell’attuale iconoclastia mi aiuta ad entrare in argomento. Mi riferisco alla richiesta di abbattimento delle statue erette a Cristoforo Colombo nelle due americhe (già nel 2014 in Argentina la statua di Colombo è stata spostata dalla casa Rosada a un luogo più discreto) e all’abolizione del Columbus day negli Stati Uniti (oggi variamente rinominato Native Americans day, o Indigenous People’s day). Colombo è additato come genocida e responsabile dei secoli di razzismo a seguire. Ovviamente non sono in questione le specifiche azioni di Colombo, del quale si citano lettere di dubbia autenticità, ma al quale comunque, studiandolo, potrebbero essere addebitati asservimento delle popolazioni, lavoro forzato e repressione brutale di rivolte per ordine suo o del fratello. Il problema è un altro. Poiché con la “scoperta dell’America” Colombo ha aperto la via alle esplorazioni del continente, a lui simbolicamente possono essere fatti risalire tutti i crimini e le sopraffazioni che ne sono conseguiti.

 


Gli esponenti del pensiero unico hanno ormai posizioni accademiche apicali: emettono norme e programmano corsi universitari. “Ho visto con i miei occhi dibattiti tra accademici nei quali a un certo punto uno squalifica gli argomenti dell’altro perché è bianco”


 

E’ una imputazione simbolica, ma allo stesso tempo personale. Implica infatti la cancellazione della responsabilità personale oggettiva – uno dei capisaldi dello stato di diritto e dei diritti dell’uomo e del cittadino – a favore di una responsabilità di gruppo, anzi di una oggettiva colpa di gruppo in cui il “gruppo” ha tratti storici (gli invasori) che presto trascendono in una dimensione genetica e razziale essendo sia le popolazioni amerindie, sia gli schiavi neri vittime della tratta di ceppo diverso dal bianco caucasico, o come altrimenti si voglia definire. Come già è accaduto al “popolo deicida”, il cui delitto originario insegue le generazioni attraverso i secoli, così i “bianchi” sono apriori corresponsabili dello sterminio dei nativi e della schiavitù dei neri, e lo è ogni singolo bianco, quali che siano i suoi gesti o le sue opinioni, per appartenenza di gruppo. Esattamente come ciascun ebreo, o ciascuno zingaro. Non si tratta di propaganda volgare: ho visto dibattiti tra accademici nei quali ad un certo punto uno squalifica gli argomenti dell’altro perché è bianco. E’ una catena logica che non ha fine. Di recente, dopo l’assassinio di George Floyd, Twitter è stato inondato di immagini nere in segno di solidarietà e di militanza, ma sono bastati due giorni perché qualcuno condannasse chi tra i bianchi aveva postato quell’immagine nera, gesto non consentito a chi, essendo bianco, è oggettivamente complice del crimine.

 

Colpa collettiva dunque. Non è certo una novità nella storia, che a volte si direbbe fatta di imputazioni collettive; senza riandare alla “leggenda nera” che ha colpito gli spagnoli nel Cinquecento, per rimanere nella contemporaneità si pensi alle colpe degli inglesi verso gli irlandesi, dei russi verso gli ucraini, ed ovviamente dell’intero popolo tedesco colpevole di sterminio. Il “gruppo” di cui stiamo ora parlando ha tutte le caratteristiche etniche, genetiche, che connotano il razzismo, e come tali, con tutte le conseguenze del caso, possono essere estese a molte altre identità di gruppo, anche il più minoritario. E’ questa la “identity politics” in cui i singoli perdono ogni identità personale.

 

Ci aiuti tutt’altro esempio, di questi giorni. Parlo del caso della scrittrice J.K.Rowling, oggetto di severe censure che l’accusano di “evidente “transfobia” per aver detto in una intervista – nella quale tra l’altro per la prima volta parlava di dolorose esperienze subite – che a suo parere l’appartenenza di genere ha una base biologica da non trascurare. E’ noto che nel Regno Unito si è affermata la convinzione – già ratificata da alcune sentenze e oggetto di una proposta di legge – per la quale il genere non può essere “attribuito” e può derivare solo da una condizione soggettiva: si è, femmina, maschio o altro, ciò che si dichiara di essere. Solo per i “cisessuali”, opposti ai “transessuali”, la propria identità corrisponde a quella di nascita. E’ una scelta come ogni altra. Nei campus americani e canadesi i pronomi “he” o “she” – che appunto connotano una identità di genere – sono sostituiti dai “gender neutral” “they/them” o “ze/zem”; gli uni o gli altri, che siano i tradizionali he/she o quelli di nuova invenzione, possono essere usati solo se il soggetto lo consente, tanto che è invalso l’uso, nei cv come nelle intestazioni o nei badges, di far seguire al nome il pronome scelto (ad es. “Federico Romanelli, he/him”: con ciò ringrazio chi mi ha edotto su queste pratiche). Non si tratta solo di “correttezza politica”, ma di vere regole, trasgredire le quali può comportare severe persecuzioni o discriminazioni. In Canada, “misgender”, ovvero attribuire un gender non gradito, è reato penale insieme ad altri “hate crimes”.

 

J.K. Rowling ha scritto “If sex isn’t real, there’s no same-sex attraction. If sex isn’t real, the lived reality of women globally is erased. I know and love trans people, but erasing the concept of sex removes the ability of many to meaningfully discuss their lives. It isn’t hate to speak the truth”.

  

Ecco, “It isn’t hate to speak the truth”. Scomponiamo questa frase. Intanto, segnala che speak può essere oggetto di hate. E’ qui in gioco un elemento cardine della civiltà occidentale (che sarà solo occidentale e quindi bianca e colpevole, ma è quella in cui viviamo noi storici, noi intellettuali, noi che studiamo e scriviamo e abbiamo dato vita alla SISSCo). Abolire la libertà di parola in nome di “colpe collettive”, annullare l’individuo nel gruppo (di tipo fondamentalmente etnico, come si è detto) stigmatizzare l’espressione di una opinione, attenta alla radice stessa del nostro essere.

  

Ma leggiamo la frase completa. It isn’t hate to speak the truth, dice Rowling. La verità che è colpa dire, in quel caso, è genetica, ovvero ha una base oggettiva di tipo scientifico (la constatazione che i sessi – non i generi – sono diversi e sono basilarmente due). Ma è questa dimensione che – complice l’universo culturale poststrutturalista, postmoderno o culturalista – si tende a vanificare, oscurando la distinzione tra natura e cultura, tra opinioni, credenze e dati. La biologia con gli studi sui cromosomi, lo studio della gravidanza extracorporea e la clonazione contribuiscono – o contribuiranno presto – a rendere opachi i confini. Siamo dunque di fronte a un relativismo assoluto, assoluto nel senso che tutto è relativo/soggettivo, insensibile ai dati (ognuna/o ha diritto ad essere ciò che dice di essere, indipendentemente da ogni dato biologico, o magari con la connivenza di alcuni esperimenti biologici), ma assoluto anche nel senso che si impone come verità assoluta, come dogma, come apriori. Diciamo allora meglio un relativismo totalitario, quasi un ossimoro in cui l’aggettivo vuole alludere esattamente alle tecniche della persecuzione totalitaria. Con la tecnica della dissimulazione posso pensare, al massimo sussurrare a un amico ciò che ho appena negato (cosa che già presenta dei pericoli) ma non dire. Se dico, prevale il conformismo collettivo. Ed è quanto sta succedendo. Ogni giorno. Oggi: un noto economista di Chicago ha criticato con sarcasmo le richieste da parte di Black Lives Matter di sciogliere i dipartimenti di polizia (defund the police). Non conta ora il tema (che pure è assai interessante), ma le conseguenze: il docente, sospeso come direttore del Journal of Political Economy è invitato a dimettersi, i colleghi solidarizzano solo privatamente, mentre il New York Times scrive “ecco un altro uomo bianco privilegiato…”. In effetti, Harald Uhlig è bianco.

  

Dove sta succedendo tutto ciò? Sta succedendo in tutti gli ambienti universitari americani, canadesi e britannici. Intolleranza giovanile, radicalismo di una società puritana, si potrebbe obbiettare. Anche da noi una volta nei vari contesti era pericoloso – fino al rischio della vita – essere “di destra” o alternativamente “di sinistra”. Una brutta stagione. Ma non si trattava di posizioni del tutto egemoniche. Ed erano comunque posizioni politiche, di parte, rispetto ad altre parti, in contrapposizione a volte anche fisica, ma prevalentemente dialettica e appunto politica. Nulla di tutto ciò nel caso di cui parliamo. Qui siamo in presenza di una neoverità unica, globale, dominante, alla quale ci si può sottrarre appunto solo con la dissimulazione, come nei regimi totalitari. Quanto poi al “giovanile”, attenzione. Poiché il fenomeno è ormai annoso, gli esponenti del pensiero unico hanno raggiunto posizioni accademiche apicali, da dove emettono norme, regolamenti, programmano piani di studio e corsi universitari (con attenzione anche ai bilanci, perché sono gli studenti a pagare le rette, ed è antieconomico contraddirli). Sono quelli che impongono le dimissioni a docenti che invocano la libertà di pensiero, mentre vanno ampliandosi gli spazi degli studi culturalisti anti occidentali, fino alla proposta di bandire lo studio dei classici greci, perché (li si suppone) bianchi e perciò tiranni. Le loro poi sono posizioni apicali ormai non solo accademiche, che esondano nella politica e nell’amministrazione, in una contrapposizione radicale, violenta, tra siffatta “sinistra” e il “mondo di Trump”, dei “white supremacists” – per rimanere al caso americano, dove non è in atto il confronto di opinioni che fonda la democrazia, bensì uno scontro tra due assoluti.

  

Un radicalismo che forse ha base puritana, dicevo. E’ probabile, in effetti, che una qualche distinzione dovrebbe esser fatta tra l’universo settentrionale-protestante e quello latino-cattolico in cui ci muoviamo noi italiani. Il primo è implacabile, non conosce remissione e coinvolge con ossessione la dimensione intima e privata. Nel secondo la gestione della colpa è diversa, ed ha maggior valore il pentimento e la confessione. In generazioni che hanno vissuto fascismo, colonialismo, resistenza e repubblica, è comprensibile che molti li abbiano attraversati non sempre con la stessa coerenza; ma alle militanze colonialiste o repubblichine dei singoli si chiede l’ammissione della colpa, il pentimento (non essendoci stata né l’espiazione giudiziaria, né il confronto aperto, come quello tentato dalla sudafricana Commissione per la verità e la giustizia). Fa comunque parte della nostra cultura l’implorazione del perdono del cielo pronunciata dal pontefice Giovanni Paolo II per l’intera vicenda della schiavitù e della tratta.

  

Ma queste distinzioni non ci siano di troppo conforto. Sono semmai dei dati da considerare, da studiare con la nostra perizia professionale, con la capacità di distinguere e di analizzare dati e documenti – come invito la Sissco a fare – ma che non ci consentono di chiudere gli occhi davanti al relativismo totalitario che ci circonda, e, temo, contamina.

Di più su questi argomenti: