Il presidente dei "discotecari" ci spiega perché ballare a 2 metri di distanza non ha senso
Dopo l'emanazione delle linee guida, discoteche e sale da ballo dovrebbero riaprire dal 15 giugno. "Ma misure di distanziamento del genere all'estero sono viste con ilarità"
“Un’altra estate, che facciamo? Vabbé balliamo” recitava un pezzo di Salmo di qualche anno fa, dal titolo molto congeniale alla bella stagione nell’èra pandemica. Eppure, anche adesso che per la riapertura di discoteche e sale da ballo esiste una data potenziale, il 15 giugno, non sono pochi gli interrogativi su quanto l’ossequio alle direttive del protocollo anti Covid possa trasformare l’offerta dei locali notturni in qualcosa di radicalmente diverso.
Le linee guida stilate ieri dalla Conferenza stato - regioni prevedono che nelle discoteche si utilizzino strumenti per contingentare l’ingresso delle persone, aumentando il personale addetto alla sorveglianza, anche per controllare la temperatura corporea, all’occorrenza dotandosi di strumenti come il contapersone; si faccia rispettare il metro di distanza tra clienti, che però diventano due per quelli che utilizzano le piste da ballo, per adesso allestite esclusivamente nelle aree esterne dei locali. Oltre a obbligare a una riorganizzazione degli spazi per evitare assembramenti nel transito tra i tavoli e il bar. Insomma, quantomeno rivoluzionario per chiunque abbia contezza di cosa voglia dire frequentare la generalità dei club italiani.
“E infatti siamo molto lontani dal modo di intendere la discoteca, sia ben chiaro. Però se serve a ripartire immediatamente e poi rivedere il protocollo entro la fine di giugno, ben venga”, spiega al Foglio Maurizio Pasca, presidente dell’Associazione italiana imprese intrattenimento da ballo e di spettacolo (Silb-Fipe), che ieri ha manifestato in Piazza Montecitorio per sollecitare un intervento tempestivo del governo. Al pari dei concessionari di giochi legali, le discoteche sono tra le attività per cui fino all’emanazione delle linee guida della Conferenza stato - regioni non era stata ancora avanzata una data di riapertura. In attesa che l’esecutivo emani un apposito dpcm, può essere considerato un primo successo? “Guardi, le anticipo che il 30 per cento dei nostri associati ci ha detto che non riaprirà a queste condizioni. I costi gestionali e per adeguarsi alle direttive sono troppo elevati, e nessun imprenditore opera senza margini di profitto. Questo significa esporre un comparto, già al collasso, al rischio ulteriore di non riuscire a pagare le bollette, gli affitti, gli stipendi. Parliamo di 3 mila discoteche che occupano più di 100 mila persone e producono per lo stato un gettito di 800 milioni di euro all’anno”.
Da quando si è diffusa la prospettiva concreta di una loro riapertura, Twitter è stato inondato da commenti del calibro di: ma come, le discoteche sì, e le università no? E però è una lettura parziale: ad esempio, non tiene conto delle caratteristiche occupazionali peculiari del settore, che lo rendono particolarmente esposto a una recessione come quella che stiamo attraversando. “Tra i nostri dipendenti, sono circa 50 mila quelli con contratti atipici, come dj, vocalist, pr e musicisti. Tutte categorie escluse dagli ammortizzatori approntati dal governo. E’ gente che spesso ha famiglia e da 4 mesi non percepisce compensi” dice Pasca.
Non è che l’esigenza di divertimento, a maggior ragione nello scenario che tutti si augurano di un ridimensionamento progressivo dell’emergenza sanitaria, decada poi in maniera automatica. Il rischio, anzi, è che molti finiscano per farsi attirare da occasioni di aggregazione abusiva, a cui non vengono imposti filtri e regole sanitarie cui attenersi. Lecito, piuttosto, è chiedersi quanto e come possano essere attrattivi dei luoghi che vengono frequentati per una ragione che contrasta con le nuove regole del distanziamento. “E’ chiaro che la gente va in discoteca per socializzare, incontrarsi, stare bene, conoscersi, non per stare distanti. Oggi mi ha chiamato un giornalista del Times per chiedermi se per dpcm istituiremo un nuovo ballo, a due metri di distanza, la Covid dance. All’estero misure di questo tipo sono viste con ilarità”. Pasca è anche presidente dell’European Nightlife association (Ena), e con il suo ruolo ha avuto modo di fare confronti su come nei diversi paesi europei ci si ponga nei confronti del mondo della vita notturna. “In Francia investono 10 milioni in una scuola per dj, a Berlino sull'apertura di nuovi locali. L’attrattività dell’intrattenimento della Spagna la conosciamo tutti. Questa emergenza non fa che dimostrare come in Italia, invece, il nostro settore sia visto sotto una cattiva luce”.
Abituati alla tragedia