Stanley Ho (foto LaPresse)

Il tycoon che ballava

Giulia Pompili

Vita, morte e miracoli di Stanley Ho, il re dei casinò di Macao che ha cambiato l’economia asiatica

Roma. Se non fosse esistito Stanley Ho, la storia del delta del Fiume delle Perle sarebbe stata diversa. Di sicuro quella dell’ex colonia portoghese Macao. Morto ieri a novantotto anni all’Hong Kong Sanatorium & Hospital, un impero galattico fatto soprattutto di casinò e gioco d’azzardo, Stanley Ho ha cambiato il modo di fare business in Asia. Ma è soprattutto una figura leggendaria, che ha costruito oltre al suo impero economico anche un feudo famigliare costituito da quattro donne e diciassette figli, ovviamente quasi tutti in guerra tra loro per il controllo di un patrimonio da 6 miliardi di dollari. Ieri però, fuori dall’ospedale, tutta la famiglia era abbracciata come una squadra di calcio per dare il triste annuncio. E a parlare è stata Pansy Ho, classe 1962, ex attrice, che neanche due anni fa è riuscita nell’impresa di scalare la società, in coalizione con vari fratelli, e gestire gran parte degli affari della Sociedade de Turismo e Diversões de Macau, sotterrando le mire espansionistiche della quarta moglie del tycoon, Angela Leong, e del fratello milionario (con passaporto canadese) Lawrence Ho.

 

La vita di Stanley Ho è leggendaria, e intimamente legata alla storia di Hong Kong. Nato nel 1921, il suo bisnonno era un ebreo olandese, suo nonno e il fratello sono stati due dei più famosi imprenditori e filantropi di Hong Kong, Ho Fook e Robert Ho Tung. Il padre mollò la famiglia di tredici figli quando era giovane, e Stanley riuscì perfino a frequentare l’università (grazie a una borsa di studio fondata dal nonno). Ma quando nel 1941 a Hong Kong arrivano i giapponesi, Ho riesce a scappare a Macao. Tutta la sua discendenza riguarda i rapporti tra l’Europa e l’Asia, quel ponte che oggi si fa fatica a ricostruire.

 

La fortuna di Stanley arriva nel 1961, quando il governatore di Macao, allora portoghese, Silverio Marques, gli concede il monopolio dei casinò, delle scommesse, delle corse dei cavalli e del fan tan, popolarissimo gioco d’azzardo di origine cinese. Proprio come oggi, l’ex colonia portoghese già da molti anni soffriva la competizione economica con la vicina Hong Kong, e il governo coloniale decise di regolarizzare il business e farne un’entrata sistematica per le casse statali: nel 1949 il gioco d’azzardo era stato abolito in Cina, ma nonostante questo a Macao si continuava a giocare. L’accordo con Stanley Ho, che si portava dietro molti investitori di Hong Kong, era quello di consegnare il 13 per cento degli incassi e di investire nella ricostruzione di Macao – hotel, strade, infrastrutture. Nel 1970 apre il Casino Lisboa, il primo passo verso l’idea originale di Ho, cioè quella di trasformare Macao nella Monte Carlo d’Asia. La riconsegna da parte del Portogallo della colonia di Macao arriva subito prima della fine del Millennio, nel 1999, e quando Pechino ci mette le mani sopra, due anni dopo aver ripreso anche Hong Kong, con Macao si trova di fronte a un’economia piccola e per lo più tenuta in piedi da un capitalismo che poco s’addice a quello cinese. Pechino gli toglie il monopolio del gioco d’azzardo nel 2002, e con l’arrivo degli investitori stranieri inizia anche il rinnovamento del business di famiglia degli Ho, che investono all’estero, si espandono, contando sul fatto che il vero monopolio di Macao riguarda il gioco d’azzardo stesso: è l’unico luogo della Cina dov’è autorizzato.

 

“Il padrino del gioco d’azzardo” era tutt’altro che uno scommettitore (come tutti quelli bravi). Piuttosto, amava il tango, il cha cha cha e il valzer, era impegnato nella promozione internazionale del ballo come attività culturale. Era il proprietario di Viva Pataca, uno dei cavalli da corsa più famosi del mondo, con alle spalle il record di vittorie per Hong Kong. Nel 2009 Ho è caduto nel bagno della sua casa di Hong Kong, ed è stato sottoposto a tre interventi chirurgici al cervello. Da allora aveva mollato ai figli le responsabilità operative senza mai però lasciare la presidenza del gruppo. Stanley Ho è uno dei primi milionari ad aver usato il capitalismo occidentale in un ambiente di business orientale. Di certo la sua famiglia e la sua eredità è piena di coni d’ombra, era un magnate che aveva saputo sporcarsi le mani. Ma se c’è una persona che ha cambiato faccia a un pezzo d’Asia, indipendentemente da Pechino, quello è Stanley Ho.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.