Maria Luisa “Pinky” de Banfield Mosterts (foto Facebook)

Addio alla baronessa “Pinky” de Banfield, una leggenda

Michele Masneri

Il padre era conosciuto come “barone rosso” o più correttamente l’Aquila di Trieste. Gran dama leggendaria ma appartata, soprattutto alla Scala e sulle spiagge dell’alta Maremma dove regnava tra i capanni

E’ morta due giorni fa Maria Luisa de Banfield Mosterts, nonagenaria leggendaria detta Pinky, che rimanda a un tempo in cui le élite erano roba seria. Il padre era conosciuto come “barone rosso” o più correttamente l’Aquila di Trieste: barone era stato fatto da Francesco Giuseppe grazie alle imprese compiute col suo idrovolante – insomma, un personaggio di quei bei tenebrosi che conquistano le ragazze negli Harmony, e lui aveva infatti conquistato la più bella di Trieste, Maria Tripcovich, role model delle fanciulle mitteleuropee quando non ci si taggava, fondamentale dama austroungarica per le novità parigine e cosmopolite, fra le due guerre mondiali e dopo. Discendente oltretutto di una stirpe di armatori che al tempo della battaglia di Lepanto forniva navi da guerra da secoli ai vari imperi.

 

Maria Luisa “Pinky” de Banfield Mosterts (foto Facebook) 

 

Il barone rosso l’aveva sedotta con delle acrobazie aeree sulla città, tipo frecce tricolori (prima che esistesse l’Italia). Poi il matrimonio, e le migliori eleganze mitteleuropee e triestine, insomma, tra Joyce e Svevo e Lloyd, dunque Assicurazioni Generali di cui la famiglia fu sempre grande azionista, e questa colossale azienda di navigazione da parte di mamma. I Banfield, invece, irlandesi, precettori dei Wittelsbach, assi di mare e di cielo degli Asburgo.

 

A Roma, Gottfried italianizzato Goffredo de Banfield era soprattutto conosciuto come Drago rosso, molto stimato dall’altro asso aeronautico Francesco Baracca quando i loro velivoli s’incrociano con cavallereschi saluti.  C’era tutto un galateo aereo: gli italiani buttavano talvolta un fiore in omaggio al cavaliere dell’aria che avevano abbattuto, ha ricordato Paolo Rumiz. “L’aviere Goffredo de Banfield, triestino, quando costrinse all’atterraggio un pilota francese, prima lo dichiarò prigioniero e poi lo invitò a cena all’hotel Excelsior”. Fu a lungo console onorario di Francia a Trieste (di qui, Legion d’Onore). Il giorno della morte, nel 1986, tutte le navi in porto a Trieste emisero un lungo saluto di sirena. Si occuperà della Tripcovich e genererà Raffaello e Maria Luisa.

 

Lui abbastanza una leggenda, “Falello”, artista, melomane, studioso con Malipiero, molto scapestrato, direttore del Festival dei Due mondi di Spoleto, amico di Karajan, di Stravinskij, della Callas, sposò tardivamente Graziella Brandolini, cognata e grande amica di Kiki Brandolini (altre leggende), già vedova Arrivabene. Consigliere di amministrazione delle Generali, manager riluttante ma unico erede di una casata industriosa, “fior di musicista decadente e sfortunato amministratore di molte società triestine” (Arbasino). Tra cui appunto la Tripcovich che con lui fallirà, prima società quotata in Italia a fare quella fine, nel 1994, con crack e saga che la Lehman Brothers le fa un baffo (seimila dipendenti, il più bel palazzo di Trieste, il monopolio dei rimorchiatori, manager e cda tutti con almeno tre cognomi).

 

E poi lei, Maria Luisa, nata a Trieste nel ’27, studi di medicina promettenti e interrotti perché non adatti alle fanciulle, dunque gran dama leggendaria ma appartata, soprattutto alla Scala e sulle spiagge dell’alta Maremma dove regnava tra i capanni. E lì a Bolgheri, fino all’ultimo, Gherardesca, Caetani e tutto quanto: anche molti libri, quattro lingue parlate senza accento, tutti i giornali letti al mattino. Ospiti Claudio Magris e Giovanni Sartori, strada sbarrata per Beppe Grillo che pure si bagna a quei lidi, come dice al Foglio il figlio Sebastiano Mosterts – lei infatti aveva sposato un Mosterts industriale tessile basato a Somma Lombardo (quelli delle “coperte di Somma”).