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Elogio della noia, antidoto per combattere l'epoca della distrazione

Claudio Cerasa

Perché una società non attenta e che non sa annoiarsi può generare mostri, come le isterie populiste. Le virtù del baseball alla prova della politica e della vita quotidiana

Susan Jacoby è una grande scrittrice americana diventata famosa nel 2008 per un libro sull’anti intellettualismo degli Stati Uniti (“The Age of American Unreason”) e sulla progressiva proliferazione di un fenomeno che dieci anni dopo sarebbe diventato uno dei grandi temi della politica mondiale: la trasformazione del pensiero spazzatura in un nuovo collante identitario della politica. Dieci anni dopo, Susan Jacoby ha scelto di pubblicare un altro libro su un tema apparentemente distante dal primo ma in realtà perfettamente collegato. Il saggio è dedicato all’importanza che ha il baseball nella società contemporanea – “Why Baseball Matters” – e contiene alcuni spunti utili per mettere a fuoco uno dei drammi culturali meno indagati della nostra epoca: la mancanza di vaccini utili a proteggersi dai batteri prodotti dall’era della distrazione.

 

Il libro di Jacoby ci fa riflettere sull’importanza che ha uno sport come il baseball in una stagione caratterizzata dal predominio della cultura della distrazione digitale e secondo la saggista americana c’è un nesso importante tra la nostra capacità di governare la noia e la nostra capacità di governare le isterie. I temi del libro di Susan Jacoby sono stati affrontati in modo magistrale qualche settimana fa sul Washington Post dall’ex ambasciatrice americana alle Nazioni Unite Samantha Power, che ha pubblicato sul giornale edito da Jeff Bezos un pezzo formidabile dedicato proprio al baseball. 

   

Attraverso la recensione del libro di Jacoby, Power ha provato a rispondere a una domanda semplice e centrale: ma siamo ancora in grado di divertirci senza distrarci? Samantha Power racconta che da ambasciatrice alle Nazioni Unite si divertiva spesso a portare diplomatici stranieri allo Yankee Stadium a vedere partite di baseball e a sfruttare i momenti di pausa delle gare per provare a esercitare con i suoi interlocutori un po’ di soft power. Negli ultimi anni però, scrive la Power, molti diplomatici di fronte all’idea di dover vedere una partita di baseball le ripetevano la stessa risposta: “Ok, ma non è che c’è la possibilità di andare a vedere una partita di Nba?”. Come è evidente, la ragione per cui l’autrice di “The Age of American Unreason” ha scelto di dedicare un saggio di elogio tarato sul baseball non è legata solo alla bellezza di questo sport ma è legata al fatto che il baseball oggi è come se fosse una sorta di stress test sulla nostra capacità di concentrarci e di resistere alle molte tentazioni offerte dalla società della distrazione.

 

Secondo la Power, uno sport non frenetico, lento, riflessivo aiuta a rafforzare i rapporti tra coloro che lo seguono e così anche la conversazione tra un punto e un altro diventa parte del gioco stesso – le pause, dice la Power, in fondo sono una parte attiva e non passiva del gioco. E attraverso l’elogio del baseball, l’ex ambasciatrice americana riesce a offrire al lettore un formidabile manifesto dedicato all’importanza delle pause, all’importanza di saper resistere all’egemonia delle notifiche, alla capacità di restare concentrati su qualcosa senza proiettare in modo isterico il nostro sguardo su un telefono. E sotto questa prospettiva, naturalmente, un ambasciatore che chiede di vedere una partita di basket al posto di una partita di baseball è un segno negativo perché ci dice che la nostra capacità di costruire rapporti non isterici con altre persone oggi è a rischio come poche volte nella società contemporanea. Il tema come avrete capito riguarda la nostra cultura politica e la nostra capacità di saper rispondere ai tratti isterici del populismo con azioni non altrettanto isteriche ma dettate da ragionamenti non superficiali (“La noia – diceva Leopardi – non è se non di quelli in cui lo spirito è qualche cosa”).

 

Ma se ci pensiamo bene il tema riguarda più semplicemente anche il nostro quotidiano, la nostra capacità di relazionarci con i nostri amici, la nostra capacità di stare insieme ai nostri figli, la nostra capacità di usare i telefoni, i tablet, i computer non come se fossero solo dei palliativi contro la noia. L’epoca della distrazione – come scritto da Franklin Foer in un altro splendido libro dedicato alla minaccia rappresentata da un certo tipo di tecnologia per le nostre vite (“World Without Mind”) – ha contribuito a far diminuire la nostra soglia di attenzione e una società non attenta e che non sa annoiarsi è una società che può generare mostri. Contro i mostri gli antidoti sono molti ma uno è senz’altro quello suggerito da Susan Jacoby e da Samantha Power: cominciare a considerare la noia come un’opportunità e non come un problema da eliminare. Vale per la nostra vita politica. Ma vale per la vita con i nostri figli.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.