L'esame con la febbre
Semestre filtro di Medicina: il “disastro” non è la selezione ma il sistema. Anche all'estero
Come aprire la strada ai futuri medici? Troppi ingorghi. Numero chiuso, aperto o filtro: l’accesso è un guaio ovunque. Il sistema italiano “alla francese” che anche in Francia vogliono cambiare. Il caso tedesco, il problema dello studio. Un po’ di dati
I risultati del secondo appello del “semestre filtro” di Medicina arriveranno entro Natale, con l’augurio che siano meno negativi di quelli del primo appello, che tante polemiche di diversa natura hanno generato; la graduatoria nazionale è annunciata invece per il 12 gennaio, e solo dopo la chiusura del percorso arriveranno dal ministero dell’Università valutazioni ufficiali o eventuali commenti. Meno probabile che arrivino dal ministro Anna Maria Bernini, o dal suo staff, delle “scuse”, seppure da più parti vengano richieste, spesso in modo esagitato o di poca sostanza. Ultima ieri, dal Corriere veneto, la patologa Antonella Viola, pronta a immolarsi nelle scuse “alle studentesse, agli studenti e alle loro famiglie, per una farsa che è stata lesiva sul piano emotivo ed economico”. Viola prende di mira il bersaglio grosso, il nuovo sistema di ammissione, vorrebbe l’accesso illimitato. Ma l’alternativa reale, è ovvio, sarebbe il ritorno al vecchio numero chiuso. Notevole però, e non è lei la sola, che la critica ai tre test – chimica, biologia e fisica somministrati in sequenza – riguardi non il merito ma un presunto non rispetto delle “nuove modalità di apprendimento dei ragazzi”, non più basato sullo studio mnemonico e nozionista: “Un fallimento di questo tipo non si spiega con un improbabile ‘non hanno studiato’, non è colpa loro, dobbiamo prendere atto di una realtà che cambia”. Ma un esame d’ammissione è per forza nozionistico; inoltre basterebbe uno sguardo agli esiti di ammissione in altri paesi europei per capire che se il problema non è il poco studio dei candidati italiani, non è neppure nel percorso adottato con la riforma (pur sempre perfettibile). In Francia, dove c’è un sistema con esame filtro nella prima annualità a cui si è parzialmente (ci si domanda perché solo parzialmente) ispirata la riforma italiana il tasso di ammissione è al 20 per cento.
Nel Regno Unito, nessun test ma ammissione in base ai voti della scuola: attorno al 17 per cento. In Germania, dove c’è un rigido numerus clausus, tasso ancora più basso. Sugli accessi a Medicina c’è dunque qualche domanda di sistema da farsi (com’è che in questo caso “la complessità” non la evoca nessuno?) evitando il ricorso alla “catastrofe” alla denuncia del “populismo” e alla richiesta scuse. Meglio provare a dividere i punti. L’idea che non si sia “rispettato” il modo di studiare degli studenti è ricorrente. Il professor Andrea Bellelli, medico docente della Sapienza e blogger per il Fatto, in un lungo intervento con spunti interessanti (ad esempio sulla insufficiente tempistica del “semestre cosiddetto aperto”) ha bocciato la “tempesta perfetta” della riforma. Bellelli sostiene che la concentrazione di tre prove in un giorni sarebbe troppo gravosa e “coercitiva” soprattutto per giovani abituati a studiare con la tecnica del “chiusone” (la studiata finale) e della “sbobina” degli appunti delle lezioni. Il test “non lasciava allo studente margini per organizzare lo studio nel modo da lui preferito”. Critica simile a quelle di Viola. A parte che quello è un sistema di studio semmai di studenti universitari, un esame di ammissione – non svolgerlo in un’unica prova non sarebbe corretto, spiegano gli organizzatori – è un gradino di accesso che deve per forza essere alto e rigido. Troppo rigido? Non tutti gli esperti che hanno avuto accesso alle domande, anche senza essere tranchant come il prof. Burioni, ne sono convinti. Ugualmente nei giorni scorsi, ad esempio un articolo del Corriere, si è provato a sostenere che, vista la falcidia, sarebbe stato meglio mantenere il quizzone del numero chiuso. Idea lecita ma discutibile. E bisogna ricordare che per anni, dal mondo accademico e da quello politico, sono piovute critiche pesantissime su quel sistema poi superato proprio in base alla sua poca equità. Ha senso oggi tornare al quiz? Dalle associazioni di studenti che annunciano ricorsi è stato detto che essendo il semestre filtro una sorta di concorso, richiedeva “par condicio, trasparenza e criteri immutabili”. Questi aspetti non sembrano essere stati negati. Quanto alla critica di molti accademici per essere stati “esclusi” dalla compilazione dei test la risposta del ministero è che la formulazione dei questionari è stata affidata a medici e docenti fuori ruolo per garantire massima trasparenza.
Il tema più interessante attorno alla “catastrofe” del semestre filtro – e su cui anche il governo dovrà fare valutazioni – è invece un altro: se il meccanismo scelto risponda allo scopo: che era quello di aumentare le immatricolazioni – nominalmente sono stati portati a 24 mila i posti disponibili – senza però togliere un limite numerico e mantenendo una valutazione di qualità. Vale la pena ricordare che il famigerato numero chiuso, che qualcuno oggi chiede di abolire, fu introdotto non dalla destra meritocratica e liberista ma dai governi Prodi e poi D’Alema. E i motivi reali erano la limitata capacità ricettiva delle università, la scarsità di docenti e (il segreto di Pulcinella) l’impossibilità economica per lo stato di dare poi lavoro a tutti i medici. Un disastro non solo italiano: la Francia vive oggi la stessa situazione. Nella riforma Bernini c’è (c’era?) l’aspirazione a maggiore equità e l’idea di non far “perdere un anno” ai bocciati: purtroppo in questo caso la situazione si è complicata, anche se la possibilità di iscriversi a un altra facoltà c’è anche ora. Soprattutto, c’era l’idea “francese” di offrire una valutazione più pertinente al corso di studi.
E proprio qui viene il punto focale. Quel sistema nato nel 2020 apriva la strada a due percorsi principali in ambito sanitario, il Pass (l’accesso diretto alla facoltà di Medicina) e il Las, una laurea triennale con accesso a diverse facoltà. Pensato per essere più equo e diversificato, è stato giudicato fallimentare: per mancanza di chiarezza nella selezione che avrebbe addirittura avvantaggiato studenti provenienti da contesti privilegiati. Ci sarebbe stato inoltre un calo di attrattiva in ambiti come Farmacia e Ostetricia. Infine, molti studenti “bocciati” sono passati a studiare all’estero, con l’obiettivo di tornare in patria poi. Ma anche questo aspetto ha aggravato la penuria di futuri medici. Così nel 2026 è prevista una nuova riforma con il ritorno a un unico percorso a cui si potranno iscrivere tutti, concluso da una sorta di sbarramento dopo un anno e con un passaggio facilitato a Farmacia. Lo scopo è un accesso più semplice e una migliore distribuzione dei futuri professionisti sanitari. Tuttavia, dice la stampa francese, la riforma è contrastata dalle università che temono un aumento degli studenti ma senza risorse aggiuntive. Se in Italia si intendeva copiare quel sistema migliorativo, bisognerà prendere di nuovo appunti.
Il caso tedesco è agli antipodi ma ugualmente per noi significativo. In Germania sono 38 le facoltà di Medicina. Si entra con un numero chiuso molto stretto gestito a livello centrale dalla Fondazione per l’ammissione all’università. Un sistema estremamente selettivo, il requisito principale è un diploma di maturità con un ottimo voto (i nostri 100 o 98). Un punteggio aggiuntivo può essere ottenuto da chi abbia svolto attività in ambito sanitario, Inoltre c’è un test attitudinale facoltativo, il Tms, che può essere considerato come un punto a favore. Posto che anche la Germania sopperisce con una dura selezione alla carenza di posti universitari (e con un’ampia immigrazione medica poi) perché non tornare a un sistema simile? C’è però da notare che in Italia non esiste una Fondazione per l’ammissione all’università; e se ci si dovesse basare solo sui voti di maturità, sono discussi da anni i dati che dimostrano la discrepanza tra i 100 elargiti in alcune regioni e i relativi risultati delle prove Invalsi, più oggettive. Ma i test Invalsi non vengono conteggiati nel voto di maturità. Perché invece non farlo e dare più oggettività ai test di ingresso? E perché non introdurre un test attitudinale come in Germania? La “catastrofe” del semestre filtro – seppure lo sia: siamo sicuri che il livello di bocciature anche all’estero non sia un segnale generale? – non è riducibile a disorganizzazione, incapacità o altro. Era una prima volta, sperimentale, si vedranno gli aggiornamenti, ma l’impianto la sua logica lo ha. La vera questione in Italia, come in Francia, come in Germania seppure in un sistema diverso, è strutturale. Per avere molti più medici sarebbe necessario avere quasi il doppio di aule e docenti, e uno sbocco nel sistema sanitario nazionale adeguato: ovvio, non sono i malati che mancano in Italia, ma la spesa sanitaria è una tela di Penelope. La verità è che ovunque i filtri d’ingresso rispondono, se non a una logica, a una carenza strutturale del sistema sanitario molto più ampia e grave. Facciamo studiare pochi studenti per mancanza di aule, laureiamo pochi medici per mancanza di ospedali. Tra numero chiuso, aperto, o semestri filtro forse la soluzione sarebbe un numero programmato negli anni. Sarebbe più trasparente anche nei confronti delle aspettative dei candidati. Poi resterebbe sempre lo sbarramento del merito e della competenza, che non è malvagia meritocrazia. Come dimostrano i dati all’estero, non è soltanto il semestre filtro a creare catastrofi.