Ansa
I pericoli di un'istruzione “rivolta al futuro”
Nella scuola appiattita sul presente, la storia è ridotta a rituale ingombrante
L'insistenza su specifici eventi storici del Novecento, cui sono talora dedicate giornate commemorative, è benemerita ma spesso storiograficamente decontestualizzata. Dà l’impressione che si tratti di una scienza di natura soprattutto etica, una magistra vitae col ditino sollevato a perenne monito
Mentre si dibatte animosamente sul modo di impartire un’educazione affettiva a scuola, scolora la questione di come e perché insegnare storia. Lo si deve a due fattori contraddittori. Il primo è che, soprattutto nei trienni dei licei, l’istruzione ha una intrinseca impostazione storica: oltre alla storia propriamente detta, vengono insegnate la storia della filosofia, la storia dell’arte, la storia della letteratura italiana e quella di alcune letterature straniere o classiche. Ciò significa che, negli indirizzi liceali più frequentati in Italia, la storia monopolizza sei o sette materie su una decina, ovvero tutte quelle umanistiche, e pertanto viene data per scontata.
Il secondo fattore è uguale e contrario: come tutt’a un tratto inorridita dalla propria immagine nello specchio, la scuola si affanna sempre più a presentare agli studenti attività variegate (fra cui l’educazione affettiva) di valore civico o professionale legato all’attualità. Tali attività extracurricolari vengono spesso calendarizzate in orario curricolare, sottraendo credibilità alla comune impostazione storica di molte materie in programma e lasciando intendere che la storia debba cedere il passo alla trasformazione della scuola in complicato centro formativo e ricreativo, tutto imperniato sul presente e, come pomposamente si dice, rivolto al futuro.
Il passato diventa così un’ingombrante collezione di vasi di coccio, che bisogna sistemare da qualche parte poiché l’abbiamo ricevuta in eredità dai nonni della pedagogia italiana, ma di cui poco ci importa se qualche esemplare si crepa o si frantuma. E’ un problema, sia perché tradisce la stessa natura paideutica della scuola, che si fonda sulla trasmissione continuata di un sapere pregresso, sia perché trasforma l’impostazione storica in pigro rituale, un rosario di nomi e date da imparare a memoria senza indagarne il senso. Nell’ultimo mezzo millennio, invece, l’insegnamento della storia è sempre coinciso con il tentativo di dare una cornice univoca alla congerie di eventi, che fosse il mandato divino di Bossuet, la critica sistematica di Voltaire, l’espletazione di uno spirito intrinseco secondo Hegel. E’ il principio della storia universale: Schleiermacher la paragonava a un enorme polipo, i cui numerosi tentacoli si muovono in direzioni imprevedibili su impulsi accentrati in un misterioso cranio.
Nella scuola di oggi sono rimasti solo i tentacoli, privi di connessione, sminuzzati e rinsecchiti. L’effetto più evidente è la insistenza su specifici eventi storici del Novecento cui sono talora dedicate giornate commemorative: benemerita ma spesso storiograficamente decontestualizzata, dà l’impressione che la storia sia una scienza di natura soprattutto etica, una magistra vitae col ditino sollevato a perenne monito. Non mi sorprenderebbe se il caos studentesco su Gaza fosse un frutto di questa lettura moraleggiante e incompleta, che invita al giudizio di pancia più che alla comprensione razionale.
Lo strapuntino che la scuola riserva a una storia da cui è tuttavia ossessionata implica che la materia resti vittima di tagli drastici: non nello svolgimento degli argomenti in programma, che spesso procede di gran carriera tramite infarinature velocizzate come film di Ridolini, ma nella scelta della cornice entro cui farli studiare. L’alternativa è fra la storia globale e la storia nazionale, due concezioni in cui la storia è o unico organismo, i cui capi anche remoti interagiscono di continuo, oppure simbiosi di organismi autonomi, ciascuno dei quali è funzionale alla formazione di chi vi abiterà. E’ ovvio che l’ideale sarebbe svilupparle entrambe, poiché nei fatti coesistono. Posti però di fronte al dubbio se sia più rilevante studiare i regni centrafricani o Santorre di Santarosa, gli haiku o il Marino, i tatuaggi inuit o Duccio di Buoninsegna, i docenti alla fine optano per la soluzione più facile: spiegare il minimo indispensabile, interrogare in fretta, portare gli alunni all’incontro di educazione affettiva.