
Il 7 ottobre come atto di resistenza: sabato a Roma è comparso anche questo striscione (foto Ansa)
La scuola dei cattivi maestri
La scuola “pacifista” pro Pal
Non c’è da stupirsi se le nuove generazioni crescono pensando che Israele sia il male assoluto e che Hamas sia una sorta di resistenza partigiana: è ciò che hanno imparato non solo dai social network, ma talvolta dai propri insegnanti. Diario di un professore di liceo
Mi chiamo Andrea Atzeni e insegno in un liceo a Milano. Ogni giorno entro in classe e provo a fare quello che penso sia il mio mestiere: trasmettere conoscenze, certo, ma anche osservare ciò che accade intorno a me, dentro la scuola e fuori. Osservo i moti di ribellione degli studenti, gli istinti di rivoluzione che riaffiorano in certe stagioni, i riflessi condizionati che portano a ripetere slogan più che a interrogarsi sui fatti. Mi interrogo su questi temi e credo che ci possa essere una testimonianza e una lezione che sarebbe utile non solo per i miei studenti, ma per tutti coloro che hanno a cuore due parole semplici e decisive: scuola e libertà.
L’11 ottobre 2023, nelle caselle della posta elettronica degli studenti e dei docenti del liceo in cui insegno, arrivò un singolare messaggio. Una nostra ex studentessa di origine araba, ormai diplomata da qualche anno, si scagliava con indignazione contro un timido segno di solidarietà, da parte mia, per le vittime del pogrom palestinese di quattro giorni prima. Israele, si leggeva, è uno stato terrorista, un brutale regime, compie massacri e genocidi in Palestina, bombarda di continuo case, scuole, ospedali e chiese palestinesi, usa anche le bombe al fosforo, è stato condannato dall’Onu per crimini contro l’umanità, è il paese più sanzionato al mondo per violazione dei diritti dell’uomo, lascia i palestinesi senza casa, elettricità, gas e acqua, pratica l’apartheid, e persino gli ebrei non israeliani combattono Israele.
“Israele ha dichiarato LA RASA AL SUOLO DI GAZA… Un giorno l’Inghilterra, senza alcun diritto, decise di costruire su TERRITORIO PALESTINESE la nazione israeliana”. Non bastava. Guardare solo agli ultimi sviluppi, ammoniva la lettera, sarebbe fuorviante: “L’Hamas rappresenta una piccola parte della popolazione palestinese, la parte che ha deciso di ribellarsi a ciò che succede da più di 70 anni. L’altra parte reagisce agli spari e alle bombe con sassi e sorrisi. Come vi aspettate che reagiscano? Perché definite questi terroristi e l’esercito israeliano no? I partigiani quando si sono ribellati hanno usato pistole d’acqua o come hanno reagito?”. In sintesi: Hamas come i partigiani, Israele come i nazisti. La risposta dell’istituzione scolastica a queste farneticazioni? Nessuna. Nessuna presa di distanza, nessun chiarimento, nessun documento che restituisse almeno un minimo di equilibrio. Anzi, mi fu autorevolmente detto che, in fondo, l’autrice della lettera invocava la pace e la non violenza.
Hamas come i partigiani, Israele come i nazisti. La condanna di oggi precede gli eventi condannati. C’erano già le premesse: la manipolazione della storia, il peccato originale dell’ebraismo, la presunzione di colpa, la vittima spacciata per aggressore e il carnefice glorificato a partigiano
Perché rispolvero ora questo episodio apparentemente insignificante? Perché la condanna oggi endemica precede gli eventi condannati. C’erano già allora tutte le premesse: la manipolazione della storia, il peccato originale dell’ebraismo, la presunzione di colpa e l’inversione dell’onere della prova, la vittima spacciata per aggressore e il carnefice glorificato a partigiano. C’erano le parole in libertà pronte all’uso: bombardamenti a tappeto, Gaza rasa al suolo, terrorismo israeliano, apartheid palestinese, massacro, freddo, fame, sete, malattia e, naturalmente, genocidio. E che dire infine della reazione della scuola? E’ la solita recita buonista: i melliflui buoni sentimenti, la declamazione di buone parole ipocrite, le buone intenzioni che sempre lastricano le vie della perdizione. Alla scuola si muovono sempre le richieste più disparate. Magari sarebbe ragionevole aspettarsi che almeno facesse un minimo di chiarezza, invitasse all’esame onesto della realtà, ponesse in guardia contro l’uso sconsiderato del linguaggio, favorisse il ricorso al rigore del ragionamento, sviluppasse il senso critico, valorizzasse il giudizio coerente. La scuola stessa ritiene tuttavia di dover fare molto di più e quindi, in realtà, molto di meno. Molti docenti si proclamano educatori, non semplici insegnanti. Spesso si ammantano di un magistero morale che non è chiaro come avrebbero conseguito, certo non con gli studi specialistici né con l’esperienza didattica. Sono un po’ la caricatura dell’intellettuale impegnato, cui si ispirano. Non si è mai capito perché mai un brillante musicista, un geniale architetto o un valente scienziato dovrebbero essere autorevoli maestri di vita per gli allievi o per i propri concittadini o per i popoli tutti. Men che meno quando in fondo non fanno che ripetere le parole d’ordine dei loro ideologi di riferimento.
Molti docenti si proclamano educatori, non semplici insegnanti. Spesso si ammantano di un magistero morale che non è chiaro come avrebbero conseguito, certo non con gli studi specialistici né con l’esperienza didattica. Sono un po’ la caricatura dell’intellettuale impegnato, cui si ispirano
Un ambito in cui oggi questa singolare propensione emerge in modo particolare è quello dei progetti extracurricolari o degli insegnamenti trasversali. Vi dominano l’esaltazione dell’attivismo in quanto tale, le frasi a effetto e il principio di autorità. Che si tratti di visite di istruzione, di incontri con esperti esterni, di educazione civica, di orientamento al mondo del lavoro, si assiste sempre alla glorificazione della Costituzione più bella del mondo, degli organismi internazionali – Onu in testa con Ohchr e commissioni varie –, delle ong e delle associazioni umanitarie: Amnesty, Emergency, Anpi, Medici senza frontiere e chi più ne ha più ne metta. Appare normale allora schierare la scuola, per interposta autorevole opinione, contro la separazione delle carriere dei magistrati o contro la politica europea di riarmo. La Costituzione non ripudia forse la guerra? E non ci sarà forse al proposito una bella citazione di Gino Strada da fare imparare a memoria ai ragazzi? Eppure, proprio in questo approccio si cela il vizio d’origine: una scuola che abdica al proprio ruolo di trasmissione critica dei saperi per farsi cassa di risonanza delle mode ideologiche del momento. E’ più facile recitare uno slogan che insegnare la complessità, più gratificante mostrare un lenzuolo che proporre un dibattito serio, più comodo invitare il testimone “giusto” che rischiare una discussione che spiazzi e metta in crisi le certezze prefabbricate. E invece sarebbe questo il compito di un insegnante: non convincere gli studenti che esiste un solo punto di vista, ma aiutarli a vedere che i punti di vista sono molti, che le parole hanno un peso, che la realtà non si esaurisce in un post di Instagram o in un cartello portato in piazza.
Torniamo dunque all’argomento di partenza e ricapitoliamo gli ultimi sviluppi. Questa estate abbiamo avuto: a Palermo un preside che nella sua scuola ha fatto esporre un lenzuolo contro le operazioni militari israeliane, e ha organizzato in giro per il quartiere dei girotondi pacifisti con i bambini della sua scuola; a Taranto un preside che ha addirittura pubblicato una circolare scolastica per equiparare Israele alla Germania nazista; in provincia di Alessandria un altro preside che ha passato un’ora di ogni suo giorno lavorativo in cortile per conversare con chiunque volesse parlare con lui dei bambini gazawi affamati da Israele. L’anno scolastico è poi iniziato con tanti collegi scolastici (le riunioni di tutti gli insegnanti delle singole scuole) che votavano all’unanimità proclami “pacifisti” demonizzanti lo stato ebraico. Ora abbiamo gli scioperi per la Flotilla o altre mobilitazioni simili, dove docenti partecipano insieme ai propri studenti reggendo gli striscioni più deliranti e scandendo gli slogan più atroci a nome della propria scuola. Tutto con il crisma dell’ufficialità, tutto con il marchio dell’autorità educativa, tutto con l’illusione che l’impegno coincida con l’indottrinamento. Insomma, ce la prendiamo coi ragazzi che occupano le scuole anziché studiare. Ma tutto sommato a dare loro il cattivo esempio sono pur sempre i soliti ben noti cattivi maestri. Una generazione di insegnanti che scambia il ruolo di educatore con quello di militante, che trasforma la cattedra in pulpito, che confonde il dovere di insegnare con la tentazione di catechizzare. E allora non stupiamoci se anche le nuove generazioni crescono pensando che Israele sia il male assoluto e che Hamas sia una sorta di resistenza partigiana: questo è ciò che hanno imparato non solo dai social network, ma talvolta dai propri insegnanti. Ecco perché insisto: la scuola deve tornare a essere un luogo di discernimento, non una tribuna politica. Deve insegnare che le parole hanno un significato, che non si può banalizzare il termine genocidio né equiparare uno stato democratico a un regime totalitario senza compiere una violenza contro la verità. Libertà e scuola vanno insieme solo se resistiamo alla tentazione di trasformare la seconda in megafono della prima ideologia che passa.