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Maturità e polemiche. La cosa più utile è far parlare i ragazzi

Matteo Fanelli

Chi insegna sa benissimo che questi ragazzi esprimono una sofferenza dovuta all’eccessivo carico mentale che percepiscono affrontando le cose della vita (non solo a scuola). Ci scrive un insegnante di un liceo scientifico di Roma

Al direttore - Sono un insegnante di Storia e Filosofia di un liceo scientifico di Roma. Anche io, come molti altri addetti ai lavori e non, ho seguito in questi giorni i dibattiti e le polemiche relative a quei casi di candidati all’esame di stato che, avendo raggiunto la sicurezza della promozione tramite i crediti scolastici e gli scritti, hanno scelto di non sostenere il colloquio orale, ultimo atto della cosiddetta Maturità. Probabilmente questo genere di episodi è accaduto anche negli scorsi anni, chissà perché quest’anno ha avuto un’alta visibilità da un punto di vista mediatico. Pur avendo letto anche considerazioni interessanti, sono rimasto perplesso da questo dibattito e non innanzitutto per i contenuti, quanto per il metodo. Da insegnante, io credo che più che parlare DEI giovani (perché si generalizza e, in ultima analisi, si solleva un polverone che non cambia niente e nessuno), occorra parlare CON i giovani. Per questo, ho fatto una cosa molto semplice: ho scritto ai miei alunni che da poco hanno sostenuto l’esame di stato, ai quali sono molto affezionato, chiedendo la loro opinione. Diversi di loro mi hanno risposto. Incredibili a dirsi, dunque non è vero che “i giovani d’oggi” (generalizzazione, appunto) sono indifferenti e incapaci di giudizio critico. Così Beatrice: “Intanto grazie per il messaggio e per l’interesse verso quello che pensiamo. Rispondo volentieri perché è un argomento che mi sta molto a cuore”. Innanzitutto dunque occorrono adulti che si prendano la briga di incontrare i giovani e di chiedere loro un giudizio, dentro un dialogo e, possibilmente, dentro una stima e una reciproca fiducia.

 

Nelle loro brevi riflessioni, emerge da una parte comprensione per i gesti dei loro coetanei e soprattutto l’esigenza di guardare le specifiche situazioni. Ancora Beatrice: “Ho visto con i miei occhi amici che hanno deciso di non farlo [l’orale, nda] non per pigrizia o disinteresse, ma perché avevano alle spalle un anno molto difficile. Alcuni hanno avuto situazioni personali pesanti, altri hanno sofferto di ansia e stress continui. In casi così, credo che sia fondamentale lasciare spazio alla comprensione e non giudicare”.

 

Quindi dietro a questi gesti c’è un silenzioso ma evidente grido di aiuto. Magari maldestramente, ma chi insegna sa benissimo che questi ragazzi esprimono una sofferenza dovuta all’eccessivo carico mentale che percepiscono affrontando le cose della vita (non solo a scuola). Pur non ritenendola una giustificazione in assoluto, perché le prove prima o poi tocca affrontarle, credo però che sia un grido da non sottovalutare e da non sminuire. L’ansia da stress accompagna i nostri giovani costantemente, e non si può liquidare la questione solamente con il rigido rimprovero o con il “poverini”, due facce della stessa medaglia che non aiutano minimamente i ragazzi. D’altra parte, anni fa alla Scuola Primaria venne abolita la valutazione con numeri e giudizi (per lasciare spazio a espressioni più “soft” tipo “livello base, intermedio, ecc.”) e l’esame di fine ciclo.

 

Ma non è tutto qui. Ci sono studenti che, pur nel disagio, hanno deciso di affrontare questa “sfida”, termine molto ricorrente nei loro messaggi. Così Virginia: “Dopo 5 anni di liceo la soddisfazione di concludere con un buon risultato, o almeno di averci provato, è una vittoria personale”. O anche Lucrezia: “Per me affrontare l’esame di maturità ha rappresentato una vera sfida personale, un’occasione per mettermi alla prova e capire se fossi in grado di superare un esame completamente diverso da quelli sostenuti fino a quel momento [le fughe o le crisi si manifestano anche durante l’anno con le interrogazioni orali, nda]. Volevo soprattutto vedere come l’avrei affrontato, se avessi avuto la consapevolezza e la maturità di una ragazza che si prepara a chiudere un capitolo delle propria vita, lasciando il mondo della scuola e dell’adolescenza per iniziare a entrare in quello degli adulti”.

 

Credo che questo sia il punto decisivo: dico sempre ai miei studenti, infatti, che “maturità” non è solo il soprannome di un esame, ma è innanzitutto un percorso, un cammino. I ragazzi hanno bisogno innanzitutto di percepirlo come tale, e non come una performance in cui vali solo se riesci. Inoltre, i giovani in questo percorso chiedono semplicemente a noi adulti di essere accompagnati. Ancora Beatrice: “Quindi sì, credo che l’esame debba essere fatto, ma dovrebbe essere affrontato con più umanità e comprensione verso le diverse situazioni personali degli studenti. E soprattutto dovrebbe essere un momento che valorizza davvero il percorso fatto e non una gara di resistenza mentale”. Parlando di giovani e scuola è giusto affrontare tutti gli aspetti, dalla valutazione alle modalità d’esame, ma non si può prescindere dal fattore umano di chi la scuola la vive tutti i giorni.

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