
(Ansa)
L'arte dell'improvvisazione, quando un mondo nuovo emerge dall'ombra
Una peculiarità della scuola francese: l'improvvisazione all'organo, da César Franck in avanti. Fiammeggiante, spesso audace ritmicamente, ricercata nei timbri caratteristici degli strumenti
Come sarebbero le udienze in tribunale se dagli avvocati ascoltassimo solamente discorsi scritti o imparati a memoria? Un oratore non è più persuasivo quando parla a braccio rispetto a quando legge? E’ una considerazione di Camille Saint-Saëns – compositore francese autore del celebre Carnevale degli animali, del quale quest’anno ricorrono i 190 anni dalla nascita – che però egli applicava efficacemente alla musica organistica: una musica improvvisata, creata dalla fantasia dell’esecutore e modellata alle esigenze del momento liturgico in cui è calata, è più suggestiva di una pagina di qualcun altro (beh, lui citava Bach e Mendelssohn) che il musicista si limita a leggere. Ecco, il compositore è come uno scrittore, l’improvvisatore come un oratore. Lo stesso Saint-Saëns, organista per vent’anni, dal 1857 al 1877, allo splendido organo Cavaillé-Coll della chiesa della Madeleine di Parigi, ha sempre improvvisato, come scrisse egli stesso in un articolo sull’“Echo de Paris” del 1911, lasciandosi andare alla sua arte: “E’ stata una delle gioie della mia esistenza”.
L’improvvisazione all’organo è la vera e originalissima peculiarità della scuola francese, una scuola che, da César Franck in avanti, ha donato i nomi di alcuni degli organisti e compositori maggiori della storia della musica: Widor, Dupré, Vierne, Tournemire, Messiaen, Langlais, Duruflé, fino a Cochereau, Devernay, Pincemaille e i contemporanei organisti parigini. Quella della scuola francese – che a giudizio di chi scrive rappresenta la vetta di questo genere – è un’improvvisazione “flamboyant”, fiammeggiante, spesso audace ritmicamente, ricercata nei timbri così caratteristici degli strumenti francesi, opulentissima nella tavolozza armonica: in una parola, “séduisante”, seducente.
Certo, è una musica così particolare e originale, coloratissima, che pone al primo posto l’armonia, così aderente all’essenza stessa della storia dell’organo francese che spesso, chi non vi è abituato, fatica a conviverci. Basta ricordare che alla riapertura di Notre-Dame, al rito di benedizione del grand’organo restaurato, i brani improvvisati eseguiti dai quattro organisti titolari (Olivier Latry, Vincent Dubois, Thierry Escaich e Thibault Fajoles) vennero definiti, su molti siti e molti social, nientemeno che rumore, cacofonia o, addirittura, musica satanica. Eppure, l’improvvisazione di scuola francese è quella musica fascinosa che organisti eccelsi donano sempre nuova e sempre diversa perché essa risponda in maniera più idonea all’ethos di una celebrazione o di un preciso momento. E’ quell’arte che Pierre Cochereau, organista di Notre-Dame dal 1955 al 1984, definiva “da illusionista”. Saint-Saëns aveva perfettamente ragione quando, a proposito dell’improvvisazione, scriveva: “L’immaginazione si risveglia, l’imprevisto emerge dalle profondità dell’inconscio; è tutto un mondo, sempre nuovo e che non vedremo mai più, che emerge dall’ombra, come emergendo dal mare, per poi ritornare lì per sempre, un’isola incantata”.


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