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Se l'Erasmus tra nord e sud è un problema di sex appeal

Lorenzo Borga

Il programma di scambio proposto dalle sardine non sembra poter funzionare in un paese come l’Italia. Forse l’unico modo per renderlo utile può essere quello di trasformarlo in un’occasione di maggiore flessibilità in più per gli studenti

Tutti l’hanno presa sul ridere, l’idea di creare un programma “Erasmus” nazionale tra diverse regioni del paese per fare in modo che “un napoletano possa farsi 6 mesi al Politecnico di Torino e un torinese 6 mesi a Napoli, o a Palermo, per studiare archeologia, arte, cultura o diritto”. Perché, in effetti, l’idea è bizzarra. Ma qui proviamo a prenderla sul serio. Sia perché il movimento delle sardine fa notizia e sposta opinioni, ed è dunque opportuno analizzare le loro proposte in modo serio. Sia perché il problema – quello della convivenza tra nord e sud Italia (con in mezzo il centro) – è effettivamente essenziale e delicato.

 

L’obiettivo della proposta descritta da Mattia Santori al termine di un incontro con il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano è quello di connettere in modo più stretto il paese. Immaginiamo che l’idea si possa applicare agli studenti, probabilmente universitari. Mentre non è chiaro se l’idea consista in normali scambi tra un’università e un’altra, come esistono in Europa, oppure se lo studente – durante il soggiorno in un’altra regione – potrebbe anche cambiare classe di laurea. Nel secondo caso l’idea sarebbe a dir poco velleitaria e dimostrerebbe ben poca comprensione del mondo dell’università. Perché se è vero, come sembrano suggerire le parole di Santori, che secondo i dati dell’Istat nelle regioni settentrionali si studia proporzionalmente di più ingegneria e al sud più diritto (sull’arte invece i numeri sono poco chiari), non è realistico che un universitario interrompa i propri studi per qualche mese e si dedichi a un’altra facoltà.

 

Tra nord e sud, lo sappiamo, si sta ampliando il divario. Ed è anche frutto del capitale umano – vale a dire le conoscenze che ciascuno di noi ha, i talenti, le competenze, le esperienze – che spesso gli studenti meridionali portano a Torino, Bologna o Milano dove scelgono di stabilirsi per frequentare l’università. Secondo una serie di fattori, le università del nord Italia sono di maggiore qualità, mediamente e ovviamente con eccezioni, di quelle meridionali. Non a caso secondo l’istituto Svimez, nell’anno accademico 2016/2017 un universitario meridionale su quattro era iscritto in un istituto del centro-nord. A fronte di questo dato, quanti erano invece gli studenti del centro-nord iscritti in un’università a sud del Lazio? L’1,9 per cento! Secondo i ricercatori dello Svimez questo fenomeno migratorio genera una perdita di consumi pubblici e privati per le regioni del sud di circa 3 miliardi di euro. E questo solo nell’immediato: la perdita cresce parecchio se teniamo conto del fatto che gli studenti meridionali spostati al nord lì potrebbero trovare lavoro e non tornare più nella propria regione di origine. Come è chiaro da questi semplici numeri, già oggi l’Erasmus esiste ed è unidirezionale.

 

Quello che potrebbe funzionare

La proposta delle sardine potrebbe forse incidere su questo fenomeno. Un obiettivo della misura potrebbe infatti essere quello di mantenere al sud chi oggi invece si sposta verso le grandi università settentrionali. Offrendo 6 mesi o un anno di studio nel centro-nord Italia, le cui spese verrebbero in parte compensante da una borsa di studio (come avviene per il programma europeo), alcuni studenti meridionali potrebbero decidere di rimanere a studiare vicino casa, mantenendo i loro talenti al sud e chiudendo in parte il rubinetto del flusso di capitale umano in uscita. Potrebbero infatti evitare di spostarsi e usufruire invece di un soggiorno studio in un’università migliore al nord che potrebbe aiutarli nella ricerca di un lavoro e aumentare la qualità del loro percorso di studi. A essere più attratti da questa prospettiva potrebbero essere le famiglie che meno volentieri manderebbero i propri figli a studiare lontano da casa, per questioni di costi da sopportare o di legami. Rendiamoci conto però che questa possibilità è del tutto ipotetica – un soggiorno di 6 mesi potrebbe non bastare a convincere gli studenti a non spostarsi – e per di più è opposta agli obiettivi delle sardine, che desidererebbero invece incentivare la mobilità degli italiani. Per non contare il fatto che potrebbe anche ridurre la qualità degli studi universitari per i meridionali, che sceglierebbero di rimanere in istituti meno brillanti.

 

I promotori infatti auspicano che grazie al nuovo “Erasmus” nazionale universitari del sud conoscano realtà del centro-nord, e viceversa. Ma il flusso verso il sud già oggi è al lumicino, e non si capisce perché uno studente settentrionale dovrebbe spostarsi al sud. Né si comprende perché questo soggiorno di studio dovrebbe essere sussidiato dallo stato, cioè da tutti noi. Secondo il sociologo Domenico De Masi, che dopo essere stato un ideologo dei 5 Stelle si candida a esserlo anche delle sardine, “abitare in una regione italiana che ha un prodotto interno lordo dimezzato rispetto a quella in cui provieni, per un universitario è un grande stimolo”. Purtroppo però il professore non spiega perché e in che modo potrebbe essere “un grande stimolo” trascorrere alcuni mesi in un’università che probabilmente ha una minore qualità, fa meno ricerca e si trova in un contesto socio-economico con inferiori opportunità.

 

Il caso spagnolo

Un’esperienza simile a quella proposta dalle sardine esiste già. Come ha scritto sul Foglio Samuele Maccolini, si tratta del caso spagnolo che nei primi anni duemila ha introdotto il “Sistema de Intercambio entre Centros Universitarios de España” (Sicue). Si tratta di un programma di scambio tra diverse università spagnole, di cui hanno usufruito fino all’anno scorso 63.268 studenti, in aumento negli ultimi anni. Si tratta di poco più dell’1 per cento dei giovani spagnoli dal 2000 a oggi. Meno di chi ha scelto il classico Erasmus europeo, che secondo le stime del Foglio, si avvicina al 2 per cento. Cosa vuol dire questo? Che a scegliere questo programma di scambio nazionale potrebbe essere – anche in Italia – una fetta molto ristretta dei giovani, e soprattutto quelli che meno ne avrebbero bisogno. Sono infatti gli studenti con migliori opportunità e più motivati a scegliere di andare in scambio all’estero, e probabilmente così accadrebbe anche per l’“Erasmus” nazionale. Così quindi le disuguaglianze rischiano di allargarsi, perché si offre un’ulteriore opportunità a chi è già avvantaggiato.

 

L’esperienza spagnola è interessante anche perché offre alcuni studi sulla sua efficacia. Per esempio quello condotto da alcuni ricercatori di economia spagnoli, pubblicato nel 2008. Dalla ricerca si comprende che gli studenti che applicano al Sicue hanno maggiori informazioni sulle destinazioni che scelgono e le differenze culturali tra la città di origine e quella scelta per il soggiorno sono ovviamente minori rispetto agli scambi europei. Per gli studenti spagnoli che scelgono un’università dentro i confini nazionali, il tempo libero e l’appeal culturale della città sono più importante che per gli Erasmus. Secondo i risultati del sondaggio, gli studenti del Sicue hanno inoltre come priorità la possibilità di viaggiare, l’arricchimento culturale e la possibilità di trascorrere del tempo libero nella nuova città.

  

Un problema di sex appeal

Insomma, il programma di scambio proposto dalle sardine non sembra poter funzionare in un paese come l’Italia in cui il flusso sarebbe molto probabilmente uni-direzionale (da sud a nord) e in cui l’università ha già parecchie difficoltà a offrire le competenze professionali necessarie nel mercato del lavoro. D’altronde chi ne beneficerebbe sarebbe probabilmente un gruppo già avvantaggiato di studenti universitari, un gruppo già selezionato e che viaggia e conosce l’Italia più di chi non frequenta gli studi universitari. Forse l’unico modo per rendere utile la proposta di un “Erasmus” nazionale sarebbe slegarla dall’ottica di unire nord e sud del paese, e trasformarla in un’occasione di maggiore flessibilità in più per gli studenti universitari. Potrebbe infatti diventare un potente strumento per gli studenti per seguire corsi universitari differenti rispetto a quelli offerti dalla propria università per inserirli nel curriculum accademico. Ma forse questo renderebbe la proposta troppo banale e per nessun partito – e ahinoi neanche per le sardine – potrebbe risultare abbastanza “sexy” da promuoverla.

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