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“misticismo quantico”

La mappa di un'èra in cui il misticismo attraversava scienza e filosofia

Massimo Morello

Fritjof Capra, autore di un libro pubblicato nel 1975 che è diventato la Bibbia del misticismo quantico, "Il Tao della Fisica”, scrive che quella "moderna ha confermato nel modo più drammatico una delle idee fondamentali del misticismo orientale: tutti i concetti che usiamo per descrivere la natura sono limitati"

"Il Tao della Fisica è stato superato dalle recenti scoperte su tanti, stranissimi comportamenti nella dimensione quantistica. Ma il Tao della Fisica resta vero e benvenuto, ha aiutato molte persone ad aprire gli occhi” mi scrive Nadav Hadar Crivelli, il cabalista che avevo incontrato a Gerusalemme all’inizio del millennio. Era stato lui, studioso delle correlazioni tra filosofie orientali e misticismo ebraico, a parlarmi del libro del fisico austro-americano Fritjof Capra. Pubblicato nel settembre 1975, è stato da poco ripubblicato in Italia per Aboca Edizioni. Nei cinquant’anni intercorsi il "Tao della Fisica" è stato venduto in oltre un milione di copie, ma soprattutto è divenuto la Bibbia del “misticismo quantico”. La “Cabala quantistica”, la chiamava Nadav, per le assonanze tra la fisica e la teologia misterica che permette l’ingresso al più alto livello della Sacra Scrittura, dov’è risposta alle domande: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”.

 

L’autore del Tao della Fisica, studioso dei sistemi complessi, sostiene che la meccanica quantistica rivela “un’essenziale interconnessione dell’universo” e trasforma la complessità della nuova fisica in una forma di esperienza mistica. Non a caso l’opera inizia con un’epifania di Capra, avvenuta nel 1969, all’età di trent’anni, sulla spiaggia di Santa Cruz in California. Osservando il cielo ebbe la visione di una gigantesca danza cosmica, manifestazione della “danza di Shiva”, simbolo di un universo in un flusso perenne di creazione e distruzione, la danza che per i fisici è quella delle particelle subatomiche, in un turbinio incessante di energia.

 

C’è chi sospetta che Capra descriva un trip psichedelico, ma la sua visione ci appare più come sintomo dello choc psichico che aveva colpito le menti di coloro che nella prima metà del Novecento elaborarono una nuova concezione della fisica, che cercarono rifugio o conferme per le loro teorie nel misticismo, nelle filosofie orientali o nella psicanalisi. “La fisica moderna ha confermato nel modo più drammatico una delle idee fondamentali del misticismo orientale: tutti i concetti che usiamo per descrivere la natura sono limitati; non sono aspetti della realtà, come tendiamo a credere, ma creazioni della mente: sono parti della mappa, non del territorio. Ogni volta che estendiamo il campo della nostra esperienza, i limiti della nostra mente razionale diventano evidenti e siamo costretti a modificare, o persino ad abbandonare, alcuni dei nostri concetti” scrive Capra.

 

Il Tao della Fisica è anch’esso una mappa: di un’epoca in cui la scienza, la filosofia, l’antropologia e l’ecologia erano come percorsi da una corrente mistica, questa sì spesso indotta o amplificata dagli allucinogeni. In questo brodo di coltura, cultura e controcultura, parole come Zen e Tao sono divenute un mantra, una moda semantica, regola di ogni arte e attività umana. Oggi poi, “quanti” e “quantico” accompagnano ogni dissertazione su armamenti, comunicazioni, intelligence e intelligenza artificiale. Accade lo stesso per teorie e temi legati in diverse forme alla nuova fisica, tutti dai nomi affascinanti, misteriosi, evocativi – il teorema di incompletezza, il principio di indeterminazione, il paradosso del gatto di Schrödinger, la teoria del multiverso – spesso utilizzati per mascherare l’ignoranza con la complessità. E così i temi stessi della complessità sono esposti al rischio di semplificazioni e banalizzazioni. In realtà, almeno secondo il Tao della Fisica, tutto ciò è la prova di un mistero trascendentale: “Per un non iniziato, una pagina di una rivista di fisica sperimentale contemporanea risulta tanto misteriosa quanto un mandala tibetano. Entrambi sono registrazioni di indagini sulla natura dell’universo”. Ci vuole un po’ di coraggio e molta sfrontatezza, dunque, per avvicinarsi a questi temi. Ma è anche un atto di umiltà. In fondo, come scrive Capra, siamo come “Insetti che studiano la geometria”.

 

Alla fine, secondo il cabalista, ci ritroviamo a riflettere sul “paradosso di Salomone”, una distorsione cognitiva sulla relatività della saggezza e della conoscenza secondo cui, ciò che consideriamo assoluto e indiscutibile spesso può essere soggettivo e relativo. Ma ancora una volta, in questo strambo mondo dove tutto è relativo, dove una fine non è la fine, ecco che arriva la notizia che il Nobel per la Fisica 2025 è stato assegnato agli americani John Clarke, Michel H.Devoret e John M. Martinis. Incomprensibili per noi “insetti” le motivazioni scientifiche. Basti dire che dimostrano la possibilità di riprodurre in un sistema abbastanza grande da stare nel palmo di una mano il comportamento bizzarro della materia nel mondo infinitamente piccolo, interpretato dalle leggi della meccanica quantistica.