L'opera d'arte `Fibonacci Napoli (Fabricca a San Giovanni a Teduccio)´ al Museo Reina Sofia di Madrid (Getty Images)

Pari e dispari. Goldbach e l'onnipotenza dei numeri primi

Roberto Volpi

“Tutti i numeri pari possono essere scritti come somma di due numeri primi”. Proprio tutti i numeri pari? Chissà. La prova manca. La congettura più prestigiosa della matematica, mai dimostrata e (forse) indimostrabile

Goldbach, chi era costui? Uno di quei matematici che sono impressi nella storia della matematica senza avere praticamente combinato nulla? O molto, se non addirittura moltissimo? Meglio precisare: Christian Goldbach è uno di quei matematici che resterà per sempre nella storia della matematica per avere posto un problema molto importante senza minimamente essere capace di risolverlo. Ecco, aver posto il problema fa tutta la differenza del mondo. Goldbach sarebbe stato dimenticato pochi giorni dopo la sua morte, si può ben dire, se non avesse nel 1742 fatto questa affermazione: “Ogni numero pari maggiore di 2 può essere scritto come somma di due numeri primi”. Tutti i numeri pari possono essere scritti come somma di due numeri primi.  Proprio tutti?  Chissà. In effetti non è stato ancora trovato un numero pari, per quanto grande, che non possa essere scritto come somma di due numeri primi. Ma un conto è dire questo – ed è la pratica che ce lo dice – e un conto è dire che tutti indistintamente i numeri pari possono essere scritti come somma di due numeri primi: abbiamo forse la prova che qualunque numero pari, e sono infiniti, è rappresentabile come somma di due numeri primi? No, la prova manca. Manca la teoria che costituisce la prova.

  
Se questa vi sembra una fin troppo sottile distinzione che equivale a voler spaccare in quattro il capello, nella fattispecie matematica, vuol dire che non avete ancora afferrato la differenza che passa tra una congettura e un teorema – matematici entrambi. E la differenza sta nella dimostrazione. Una congettura non ha necessariamente bisogno di dimostrazione; ma senza dimostrazione resterà per sempre tale: una congettura. Quando il matematico Goldbach espresse il suo enunciato, la sua proposizione, sapeva bene (a) di fare un’affermazione che in matematica si chiama congettura (b) di non avere la capacità di dimostrare che questa congettura valeva per qualsivoglia numero pari e (c) che senza quella dimostrazione la sua sarebbe rimasta tale, una congettura, un’ipotesi. Tant’è che si rivolse al più grande matematico del suo tempo – Eulero – per chiedere il suo aiuto. Eulero, forse intuendo che non sarebbe venuto a capo del problema, non lo aiutò e da allora è cominciata la caccia, che continua tuttora, alla dimostrazione della congettura di Goldbach – la congettura più importante e prestigiosa, di tutta la matematica. La congettura che assicura a Goldbach che può cascare il mondo ma lui non uscirà mai dalla storia della matematica – e non della matematica minore bensì di quella maggiore.

  

Da bambini, da ragazzi ci piacciono i numeri pari, detestiamo, o almeno non amiamo i numeri dispari. Forse perché i numeri pari danno un’idea di pianura, di facilità, al contrario di quelli dispari che danno un’idea di montagna, di asperità. I primi li sentiamo amichevoli, i secondi avversari, se non proprio nemici contro i quali non possiamo che incrociare le armi, non raramente soccombendo nonostante i nostri più strenui sforzi. Mettiamo 17. Che ci fate con 17? Come numero assolutamente nulla, quello è e quello rimane.  E come rappresentazione numerica di oggetti siano caramelle, figurine o monete? Come le ripartite? Come le dividete? Vi rimane comunque tra le mani un resto, un accidente di resto del quale non sapete come liberarvi: a chi regalarlo, se buono, o appiopparlo, se cattivo. 

  
Aumentate o sottraete una sola unità e già siete in tutt’altro mondo. Sul 17 non potete azzardarvi a fare alcunché, è inalterabile. Sul 18 come sul 16 potete sbizzarrirvi, lasciare andare la fantasia. Il numero 17 non è soltanto un numero dispari, è anche un numero primo, sfortuna nella sfortuna. Per dire: 27 è anch’esso dispari, ma non è primo, non appartiene alla setta degli intrattabili numeri primi, qualcosa ci puoi sempre fare, perfino molto, a pensare che esso è il prodotto di: 3 x 3 x 3. 

    

Da bambini ci piacciono i numeri pari e detestiamo quelli dispari. Ma si può arrivare ad apprezzare l’apparente impenetrabilità dei numeri primi

   
Poi la fobia per i numeri dispari, e tra di essi per numeri primi, passa. E se non passa vuol dire che con la matematica è divorzio ancor prima del matrimonio e pure del fidanzamento: destini separati. Ma se passa si arriva ad apprezzare la soltanto apparente impenetrabilità dei numeri primi. Perché è sui primi che si costruisce l’intero, multiforme, labirintico, affascinante universo della matematica. 

  
E si torni adesso alla congettura di Goldbach: “Ogni numero pari maggiore di 2 può essere scritto come somma di due numeri primi”. E’ come una dichiarazione, se ci pensate, della potenza, se non proprio dell’onnipotenza, e qualcuno potrebbe anche suggerire della spacconeria, dei numeri primi. Sempre da ragazzi, a scuola, abbiamo imparato a scomporre i numeri non primi in fattori ovvero in numeri primi – che invece non sono scomponibili. Il numero pari 210 è dato dal prodotto di ben quattro numeri primi, proprio i primi quattro numeri primi dell’universo dei primi: 2, 3, 5 e 7. Infatti: 2 x 3 x 5 x 7 = 210. Dunque 210 è scomponibile nel prodotto di quei quattro numeri primi. Goldbach ci dice però che bastano due numeri primi, uniti dall’operazione di somma, per fare 210. E infatti: 11 + 199 = 210, dove 11 e 199 sono numeri primi. E mica c’è solo quel modo, ci sono ben sedici modi di arrivare a 210 attraverso la somma di due numeri primi (17 + 193, per esempio, e via via fino a 103 + 107). Nella scomposizione in numeri primi possono occorrere parecchi numeri primi, per arrivare al numero che si intende scomporre; con Goldbach due sono sempre sufficienti. Sempre? Ed eccoci, con quest’interrogativo, tornati all’inizio come in un gioco dell’oca: alla differenza tra congettura e teorema e al perché la congettura di Goldbach non è un teorema. Perché nessuno l’ha ancora dimostrata, nessuno dopo quasi tre secoli di tentativi ininterrotti – oltretutto in un mondo, quello moderno, di oggi, in cui gli strumenti della matematica sono diventati raffinatissimi e, per usare una terribile espressione, sempre di oggi, formidabilmente performanti. 

  

Un solutore della congettura di Goldbach per la verità c’è, ma è un personaggio letterario e non si sa neppure se la sua dichiarazione al nipote di essere arrivato alla dimostrazione della congettura sia vera o non sia piuttosto, cosa infinitamente più plausibile, il parto di un cervello, il suo, ormai annebbiato da tanti anni, una vita intera, trascorsa nel tentativo di dimostrare la congettura. Trattasi di Zio Petros, inetto perdigiorno del romanzo di Apostolos Doxiadis “Zio Petros e la congettura di Goldbach” del 1992, che non ha mai combinato niente di buono nella vita a parte – ma meglio sarebbe dire inclusa – l’infatuazione per la congettura di Goldbach, e un amore perduto a cui quell’infatuazione si collega, e la sua inscalfibile convinzione di poterne venire a capo che diventa ossessione fino alla perdizione nell’insania. Nelle pagine finali del romanzo Zio Petros telefona in piena notte al nipote, un matematico, per gridargli che non c’è tempo, che deve correre con un altro matematico a casa sua così da avere due testimoni, due testimoni competenti, in grado di giudicare, della dimostrazione cui è finalmente giunto della congettura, ma alla svelta, alla svelta: “Perché le ragazze sono qui. Aspettano di portarmi via”. E mentre lo sprona dice anche al nipote: “Com’è possibile che in tutti quegli anni, in quegli interminabili anni, non avessi mai capito com’era meravigliosamente semplice!”. Quando il nipote arriva, lo zio è già morto di un colpo apoplettico. E dire che, per scoraggiarlo dal cadere nell’ossessione, un’ossessione divorante, il nipote matematico gli ripeteva: “Ricordati di Kurt Gödel, zio Petros. Ricordati del Teorema d’incompletezza – la Congettura di Goldbach è indimostrabile!”, per sentirsi rispondere: “In culo Kurt Gödel, in culo il Teorema d’incompletezza!”.

   

Kurt Gödel dimostrò che  esistono enunciati matematici di cui nessuna procedura può determinare la verità o la falsità. Ma non sappiamo quali

    
Ma aveva poco da mandare a quel paese, zio Petros, giacché nel 1931 il grande logico e matematico Kurt Gödel – bella personalità ossessiva a sua volta –  che insegnava a Princeton, cittadina del New Jersey di 30 mila abitanti a nemmeno 100 chilometri da New York diventata, anche grazie alla presenza di Einstein, il centro della matematica mondiale, aveva dimostrato un teorema fondamentale secondo il quale esistono enunciati matematici di cui nessuna procedura matematica può determinare la verità o la falsità. Il fatto che esistano proposizioni indecidibili in matematica provocò sconcerto e sembrò assestare un colpo, se non mortale, certamente pesante alla matematica, che invece ne uscì ben viva, solo più consapevole del fatto che non poteva tutto.  Zio Petros non era stato toccato da questa consapevolezza, la rifiutava a prescindere al grido: “In culo Kurt Gödel, in culo il Teorema d’incompletezza!”.

  
Il teorema di incompletezza di Gödel è una sorta di mina vagante, in effetti. Ci assicura – ripeto: assicura, visto che trattasi di teorema, e dunque di un enunciato dimostrato matematicamente, con gli strumenti della matematica che permettono di giungere a verità assolute nell’ambito matematico – che l’edificio della matematica ha al suo interno proposizioni delle quali non si potrà mai dire se sono o non sono vere. Ma naturalmente nessuno sa quali sono o potranno essere queste proposizioni. Ci sono, ma chissà dove si annidano e quali sono. Una, appunto, potrebbe essere proprio quella enunciata da Goldbach, la sua congettura.  Vallo a sapere, al momento. Fintanto che non sarà provata, trasformandosi così nel teorema di Goldbach, potremmo pensare che si tratti di una proposizione indecidibile della quale niente si potrà mai dire circa la sua verità.  Sta di fatto che se c’è una congettura della quale ormai parecchi matematici cominciano a  dubitare che possa essere indimostrabile, e dunque indecidibile, è proprio questa, di Goldbach. 

  
Non la giudicava certo indimostrabile Margherita. Nel film “Le Théorème de Marguerite” di Anna Novion Margherita, una studentessa di matematica dell’ École normale supérieure di Parigi, scopre all’ultimo momento che un errore invalida la sua tesi di dottorato proprio sulla congettura di Goldbach. Colpita al cuore, distrutta, decide di abbandonare studi e matematica e cambiare radicalmente la propria vita: farà la cameriera in locali notturni e la giocatrice – vincente proprio in virtù delle sue capacità matematiche – di Mahjong in bische clandestine.  Ma l’idea di risolvere la congettura di Goldbach non la abbandonerà mai del tutto e tornerà a imporsi quando, anche grazie all’aiuto di un giovane matematico, ha un’intuizione risolutiva che, elaborata ed esposta compiutamente, riscuote il plauso incondizionato dei docenti dell’École normale supérieure. E’, quella di Margherita, l’intuizione che conduce alla dimostrazione della congettura o, molto più realisticamente, un’intuizione che consente al cammino che porta alla dimostrazione della congettura un salto di qualità che può rivelarsi risolutivo? Il film, un film a basso costo ma ben fatto e accattivante, ci lascia in sospeso, ma propendiamo per la seconda ipotesi. Sulla strada della dimostrazione di certi enunciati, di certe proposizioni, di certe congetture matematiche ci sono passaggi ineludibili, tappe obbligate prima di arrivare alla mèta – e si pensi alla dimostrazione dell’ultimo teorema di Fermat che di queste tappe ne ha richieste a iosa. Così quella di Margherita potrebbe essere una di quelle tappe, piuttosto che la dimostrazione conclusiva della congettura. Ma si tratterebbe comunque di un grande risultato che – il film lo lascia solo intravedere – la consacrerà come una stella di prima grandezza nel mondo della matematica. 

  
Non siamo ancora a questo punto, però, con Goldbach. Non abbiamo né uno zio Petros che grida di avere la soluzione, pur non avendola, né, per quel che ne sappiamo, una Margherita che ha impresso alla possibilità della soluzione una svolta decisiva. 

    

La pratica può filare via incontrastata, spedita, senza problemi, ma anche, e forse proprio per questo, senza apportare vera conoscenza

  

Certo, un curioso destino per quello che forse è l’enunciato più semplice tra tutti quelli, dimostrati e non, che messi l’uno accanto all’altro rappresentano l’universo matematico. Già, perché in effetti che un qualunque numero pari sia dato dalla somma di due numeri primi è un enunciato non solo immediatamente comprensibile anche da parte di chi di matematica non ne mastica molto, ma anche piuttosto facilmente verificabile nella pratica: si prende un numero pari, a scelta, e si comincia a provare numero primo dopo numero primo fino ad arrivare ai due numeri primi (i primi due numeri primi, perché possono essercene molti) che verificano la congettura. Che so: 1032? 193 + 839. Fino ad oggi, si diceva, nessun numero pari ha resistito alla congettura: tutti si sono dimostrati esprimibili come somma di due numeri primi, per quanto in avanti ci si sia spinti con la grandezza dei numeri pari. Ma sul piano della teoria siamo ancora lì: lontanissimi dalla dimostrazione. E’ una cosa, questa discrasia, che deve far riflettere anche al di là della matematica: la pratica può filare via incontrastata, spedita, senza problemi, ma anche, e forse proprio per questo, senza apportare vera conoscenza. Per quella, per avere una conoscenza che faccia fare un passo avanti alla cultura, alla scienza, alla civiltà, ci vuole la teoria che ci assicuri che quella pratica ha un fondamento indistruttibile che resisterà inalterato al tempo e, appunto, alla pratica. Ammesso che a una tale teoria si possa arrivare e che, con zio Petros, anche noi possiamo gridare: “In culo Kurt Gödel, in culo il Teorema d’incompletezza!”.

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