L'editoriale dell'elefantino

Elementare, Watson! Gloria e dannazione dello scienziato pazzo

Giuliano Ferrara

Il sublime paradosso dello scopritore del Dna, morto quasi centenario, che dopo averci spiegato bene chi siamo e come siamo processati nella nostra molecola vitale, si mise a sproloquiare sui neri, sulle donne, sui grassi

Il bello di James Watson, che intercettai al Met tanti anni fa mentre brindava con il suo omologo del Dna, Francis Crick, due gentlemen gorgheggianti nell’intervallo, è che era pazzo. Dopo averci spiegato bene chi siamo e come siamo processati nella nostra molecola vitale, la spiralina o doppia elica, si mise a sproloquiare sui neri che sono meno intelligenti dei bianchi, sulle donne, e tralascio, nonché sui grassi, offesa personale che non gli posso perdonare: non assumerei mai un fat guy, un tipo grasso, così disse. La scrittrice e matematica Chiara Valerio, che le cose le sa, credo, ma non le sa spiegare, ne sono sicuro, gli ha dedicato un supercoccodrillo in cui lo paragona a Pitagora e a Copernico, il solito Einstein non bastava, e anche Schrödinger o Heisenberg tutta fuffa. Ma ha dimenticato di dire che era pazzo, un pazzo savio, cognitivamente molto a posto, scorretto fino al punto di farsi espellere da tutte le istituzioni che contano, malgrado il Nobel del 1962, malgrado il fatale articolo di nove anni prima, malgrado la pubblicazione del suo Dna personale.

 

Morto a 97 anni, beato lui, dubitava di tutto, compreso sé stesso. Non era un tipo depressivo, anzi era pieno di humour e felice del suo incredibile successo scientifico e mondano, che raccontava per averlo tutto per sé, secondo i detrattori, in particolare escludendo Rosalind Franklin, una donna o meglio una biologa che era stata compagna di scoperta ma non riconosciuta dall’accademia delle barbe illustri di Stoccolma. Lo scienziato pazzo è un mito che, anche grazie a Watson, ha resistito per l’intero secolo scorso, con una lunga propaggine in questo. Ci divertiamo sempre a collegare la relatività speciale con la linguaccia di Einstein, la sua smorfia all’universo. Non sappiamo moltissimo, per incompetenza, dello spazio e sopra tutto del tempo, che Agostino diceva di poter conoscere solo se non ci pensava, che Platone risolveva in un’immagine mobile dell’eternità, che Aristotele più modesto designava come il numero del movimento secondo il prima e il poi, ma sappiamo parecchio di queste vite un po’ assurde, molto diverse dal vittorianesimo scandaloso di un Darwin, dal luogocomunismo mentale e fisico di un Fermi e di un Marconi, gente comune con destini eccezionali, e tra questi coloro che ci hanno spiegato il cosiddetto mistero biologico della vita partendo da un modo di vivere la loro vita molto molto eccentrico. Chissà che cosa c’è che collega certe unicità nella scoperta, nell’elaborazione sofisticata della conoscenza, allo spirito originale del professore tra le nuvole, alla sua esperienza anticulturale, al suo non essere un intellettuale dei propri tempi. 

 

Alla controcultura antiwoke di Watson, una follia patente, la Valerio su Repubblica non dedica nemmeno una riga, mentre il severo e censorio New York Times si ferma con puntiglio ipercorrettista su tutte le idee sbagliate dello scienziato che ebbe l’idea giusta e la seppe trasmettere al mondo, alla biologia, alla medicina. Lo chiamavano il Caligola della biologia, scrisse “La doppia elica”, un saggio autobiografico paragonato ai Federalist Papers come una delle cento più importanti opere letterarie americane. Credo che avendoci preso molto sul serio, decodificando la struttura dell’essere con una precisione superiore, diciamo, a quella dei filosofi esistenzialisti e altri umanisti, Watson abbia poi voluto prenderci in giro con astuzia luciferina, anche per saggiare quanto fossimo liberi di ascoltare chi sa le cose quando dice cose che non sa, sublime paradosso di un superscienziato morto quasi centenario tra gloria e dannazione.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.