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Nobel 2025

Per la fisica l'impossibile non è mai davvero proibito

Sara Della Monaca

I vincitori del Premio Nobel per la Fisica hanno mostrato che attraversare un muro apparentemente invalicabile è un fenomeno reale. Non per noi, ma per sistemi minuscoli e perfetti,  abbastanza puri e abbastanza isolati da conservare il loro fragile carattere quantistico

Mia madre era laureata in fisica. Quando ero piccola si divertiva a stupirmi con i racconti più strani del mondo della fisica e della matematica. “Due rette parallele si incontrano all’infinito” era la mia preferita. L’entanglement non era ancora di moda, e non me ne parlava; il gatto di Schrödinger forse le sembrava una banalità. Ma ricordo che un giorno mi spiegò l’effetto tunnel. Io lo presi sul serio, ma a modo mio: “Se provo a passare attraverso un muro, la mia probabilità di riuscirci non è zero”. Basta tentare.

 

Oggi il Premio Nobel per la Fisica 2025 è andato a John Clarke, Michel Devoret e John Martinisper la scoperta del tunnelling quantistico macroscopico e della quantizzazione dell’energia in un circuito elettrico”. In pratica, hanno mostrato che attraversare un muro apparentemente invalicabile non è solo un modo di dire, ma un fenomeno reale. Non per noi, ovviamente, ma per sistemi minuscoli e perfetti, abbastanza puri e abbastanza isolati da conservare il loro fragile carattere quantistico. Il tunnelling è una delle idee più controintuitive della meccanica quantistica. Nel mondo classico, se una particella non ha energia a sufficienza per superare una barriera, resta ferma lì. In quello quantistico, invece, c’è sempre una piccola probabilità che riesca ad attraversarla, come se per un attimo esistesse anche dall’altra parte. Una possibilità minuscola, ma non nulla. Una crepa nell’impossibile.

 

Nel lavoro di Clarke, Devoret e Martinis quel passaggio non riguarda un singolo elettrone o un fotone. Riguarda un intero circuito superconduttivo: qualcosa che si può davvero vedere, fatto di miliardi di particelle che si muovono insieme, come un solo essere quantico. In quello stato di coerenza il circuito si comporta come una “particella collettiva” che attraversa una barriera di energia non per spinta esterna, ma per effetto tunnel, puro e semplice. È come se la materia, per un istante, ricordasse di poter essere anche onda. Nei loro esperimenti, la “barriera” è la giunzione di Josephson, una sottilissima interfaccia tra due materiali superconduttori. La “particella” che la attraversa è la fase quantica del campo elettromagnetico nel circuito. Quando avviene il tunnelling, il circuito passa da uno stato di quiete a uno in cui scorre una corrente misurabile, come se il muro che lo tratteneva cedesse di colpo. E non basta. L’energia del circuito non cambia in modo continuo, ma a salti. Il sistema può trovarsi solo in determinati livelli energetici, come un atomo gigante. È la quantizzazione dell’energia, ma vista in un oggetto costruito in laboratorio.

 

Insieme, questi due risultati dicono che il confine tra “quantico” e “classico” è più sottile di quanto pensassimo. Che la meccanica quantistica non vive solo nel mondo invisibile delle particelle, ma può farsi vedere anche in sistemi costruiti dall’uomo, se protetti a sufficienza dal rumore del mondo. Da lì nasce l’idea dei computer quantistici: macchine che sfruttano questi stati delicati e sovrapposti per calcolare in modi nuovi. Ed è su questi principi che Devoret e Martinis hanno costruito i primi qubit superconduttivi. Alla fine la fisica torna sempre lì: l’impossibile non è mai davvero proibito. Solo, quasi sempre, infinitamente improbabile.

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