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che caldo che fa

La meteorologia spiegata bene: chiacchierata con Paolo Sottocorona

Antonio Pascale

Le temperature reali e quelle percepite (con tutti i danni dei “si dice”). Il cambiamento climatico e le nuove regole del gioco. Cicloni, anticicloni e il rito laico delle previsioni del tempo. “Non si tratta più di stabilire se avremo siccità ‘o’ alluvioni: abbiamo già siccità ‘e’ alluvioni”, ci dice il meteorologo

Sono appassionato di meteorologia. Per due motivi. Da una parte sono meteoropatico. Quindi, sapere che tempo farà significa sapere che umore avrò. Sapere che umore avrò significa prevedere se farò buone o cattive scelte durante la giornata. Dall’altra, essendo meridionale, faccio molti lavori (per paura di perderne qualcuno). Così, da 36 anni sono ispettore agrario al ministero dell’Agricoltura (non si chiama più così ma va bene lo stesso). Mi occupo di calamità naturali in agricoltura. Lo stato finanzia in varie forme (dietro richiesta regionale) gli agricoltori colpiti da calamità naturali. Io sono quello che controlla se questi danni ci sono o non si sono, sono sovrastimati o meno. Capita che per giustificare la richiesta si esageri con gli aggettivi, dunque, trattandosi di calamità naturali, da decenni tocco con mano le classiche esagerazioni meteo, non so, relazioni regionali che iniziano descrivendo l’evento avverso con la frase: “Mai a memoria d’uomo si era verificato un evento così, i vecchi non ricordano un evento simile”. Poi dati decontestualizzati, quantitativi di pioggia caduti in una sola stazione meteo, e usati per parlare delle “forti piogge in tutta la regione”. Insomma già sono meteoropatico e temo che il cattivo o buon umore possano influenzare la mia giornata e anche una deliberazione lavorativa (una buona o cattiva disposizione a concedere o non concedere un contributo), quindi cerco di tenere conto dei dati reali, quelli raffreddati dall’emotività. Vorrei farne anche una metafora esistenziale, ma non sempre sono capace. 

Comunque, per lavoro utilizzo i dati meteo Aereonautica militare (che hanno veste di ufficialità) ma lavoro a parte, per la meteoropatia di cui sopra, ho seguito fin da bambino vari meteorologi (in ordine di apparizione, Bernacca, Baroni, Caroselli, Guido Guidi). Senza offesa per i succitati il mio preferito è Paolo Sottocorona. Le sue rubriche mattutine su La7, sia l’anteprima, ore 7.30, sia quella più estesa, delle 7.55, sono per me una specie di appuntamento. Sacro e laico. Momento sacro perché non me ne perdo una (quando Sottocorona va in vacanza, 15 giorni ad agosto, io ne soffro) ma sono anche una sorta di esercizio mattutino laico. Perché Sottocorona, a cominciare dai suoi esordi, sull’allora Tmc (1993), ha sempre mostrato una benefica ossessione per la precisione e per i distinguo.

 

                 

 

Questi elementi che, meteorologia a parte, dovrebbero essere il sale della democrazia, o semplicemente della decenza e della convivenza civile, si sa, si sono persi nei talk-show o nei dibattitti polarizzanti. Quindi trovare una persona che si impegnava, nel suo ambito di competenza, a volte con pazienza, a volte borbottando, trovare uno – dicevamo – che sottolinea la differenza tra percezione delle temperature e realtà delle temperature, oppure che stigmatizza il ricorrente e malefico uso di pomposi e terrorizzanti nomi  per impressionare il cittadino (una volta è l’anticiclone Caronte, altra volta è Minosse), insomma, una persona così è una rarità. Magari sbaglio, influenzato dai miei umori, ma sono sicuro che la meteorologia è una disciplina che potrebbe, se ben divulgata, abituare le persone a ragionare caso per caso, con profitto vicendevole per le parti, e infine a mettere quella giusta distanza tra le proprie sensazioni e i dati di realtà.

Dunque, con la speranza di collegare il metodo meteorologico con quello democratico, con enorme piacere ho fatto due chiacchiere con l’analitico Paolo Sottocorona. Con il quale, fra l’altro, sono sicuro di avere un’affinità, anche se sospetto possa diventare una divergenza. Entrambi ci svegliamo alle 5 del mattino, lui per lavoro (ogni giorno, anche nelle feste comandate) io per insonnia. Questa è l’affinità. La divergenza potrebbe essere questa: io appena sveglio (anche prima delle cinque) penso all’insensatezza del cosmo, all’inutilità della vita, quindi, per placare i miei problemi esistenziali, la prima cosa che faccio è aprire le finestre e osservare il cielo: a volte basta questo per sentire la vita e smettere di pensare al senso della vita. Quindi chiedo a Sottocorona: ti alzi presto, ne soffri? “A quanto ricordo, anche da giovane non soffrivo molto qualche alzataccia, poi entrato nel Servizio Meteo ho fatto per moltissimi anni i turni HJ, che significa dall’alba al tramonto, e d’estate l’alba è presto!  Però poi avevi due giorni liberi, anche se questo “ciclo” era fisso, se ti capitava Natale o Capodanno… te li beccavi”. 

Quindi a La7, tutti i giorni, alzarsi all’alba il primo gennaio: fa fatica? “Be’… a dicembre sono 78… di solito a questa età la gente si riposa, ma mi ritengo fortunato a essere ancora in grado di fare queste faticacce, e di farle.  Comunque, sono un privilegiato che fa per lavoro una cosa che ama fare: sarebbe lo stesso se lavorassi sulle barche a vela o sulle moto. Le passioni, sono queste che ti fanno vivere meglio. Poi, se ami una cosa, è più facile che tu la faccia meglio. In ogni caso, l’alba è sempre emozionante, comincia un altro ‘giro di giostra’, come direbbe Guccini”. 

Bene, non ne soffri, poi Guccini aiuta – però la questione esistenziale non mi va ancora di affrontarla, quindi resto sul pratico, gli chiedo: Ma la mattina controlli il tempo? Guardi fuori dalla finestra? “Sì, vagamente e inconsciamente ‘controllo’ che il tempo sia quello previsto sulla zona, ma sicuramente non formulo, nemmeno inconsciamente, ‘previsioni’ per la giornata”. Perché? – chiedo: “Perché come minimo (deformazione professionale) penso a tutto il paese, perché quello è il mio campo d’azione, non fin dove arriva lo sguardo… la finestra è troppo piccola, io ormai penso ‘italiano’, non a livello locale…”. 

Per quanto mi riguarda, la mattina, alla sei, esco in monopattino, qualche volta in moto, e mi piace o mi dispiace, dipende dall’intensità, sentire il freddo o il caldo. In fondo si vive di sensazioni, e quello è un vantaggio ma anche un problema. Un vantaggio perché sentire significa (pure) esistere e pretendere di essere ascoltati, uno svantaggio perché si finisce per pensare che è reale tutto quello che si vede e si sente. Da qui a credere che la terra sia piatta è un attimo: vedo una pianura davanti a me, senza curvatura, quindi è piatta. Per questo è di fondamentale importanza per la democrazia e pure per la meteorologia, mettere alla prova le sensazioni. Così, voglio soddisfare una curiosità: Paolo Sottocorona sente il tempo? Magari quando la mattina va in moto? ”Sento il tempo come tutti… una volta soffrivo il caldo, oggi soffro il freddo… Per quanto riguarda il caldo, io penso che sia come l’acqua per chi non sa nuotare: se ti immergi, piano piano senti l’acqua salire, ti senti soffocare… poi pian piano di solito questa sensazione passa e ti immergi sentendoti a tuo agio, pur in una situazione non fisiologica… Con il caldo è lo stesso: io mi ci immergo, lo sento ma se la testa non parte con ‘oddio che caldo, si soffoca’… si sta meglio. Io almeno sto meglio”.

E qui ci avviamo verso la questione delle temperature percepite. Come dicevo, per lavoro ne ho lette di relazioni che descrivevano disastrose ondate di caldo, sterminatrici di allegagioni. Relazioni dove abbondavano aggettivi che sottolineano: incredibili temperature percepite di 45 gradi, i vecchi non ricordavano ondate di caldo così. Poi vai a controllare i danni e noti che questi non sono così ingenti come gli aggettivi iniziali lasciavano presagire. Ma appunto, far chiarezza sulle temperature percepite aiuta a mettere alla prova le proprie sensazioni, né a sottovalutarle, né ad ampliarle: è una questione di metodo e di disciplina, metodo che oggi, nel deliquio dell’io in cui siamo immersi, viene clamorosamente a mancare. Però prima di chiedere a Paolo Sottocorona di far chiarezza sulle temperature percepite, gli chiedo di spiegarmi elementari nozioni di meteorologia, l’abc. Per esempio, ciclone e anticiclone.

“Anticiclone significa alta pressione. Mentre ciclone nelle zone extratropicali (qui) significa solo bassa pressione, non uragano. Gli anticicloni prendono il nome da dove hanno il massimo di pressione: quello delle Azzorre. Pensa che l’ultimo anticiclone, quello di fine giugno, che si è detto essere africano, nasceva sulle Azzorre. Quello africano, presunto portatore di grandi caldi… non esiste! Perché sul Nordafrica e sul Sahara ci sono addirittura ‘cicloni’, cioè basse pressioni: certo che c’è caldo, ma è proprio questo che provoca la bassa pressione”. Guarda – gli dico – siccome siamo sul Foglio e possiamo permetterci alcune digressioni colte, ti chiederei di approfondire questo concetto, cioè possibile che in Nordafrica ci siano tra un anticiclone e un altro, zone di bassa pressione, cioè cicloni? “Alte e basse pressioni possono essere termiche o dinamiche: in quelle dinamiche conta come si muove l’aria: nell’alta pressione scende,  si comprime e si riscalda (bel tempo), nella bassa pressione sale si espande, si raffredda e forma nuvole e piogge. Noi siamo abituati a quelle dinamiche: alta sulle Azzorre, bel tempo; bassa sul mar Ligure, alluvione di Firenze. Per intenderci. Le termiche: anticiclone siberiano, -40°, la pressione è alta perché l’aria è fredda e pesante, ma nevica… bassa pressione termica: Sahara, Arabia Saudita… aria calda, leggera, se sale è talmente secca che non forma neanche una nuvoletta… il fantomatico anticiclone africano è una bassa pressione termica”. 

 

                

 

E veniamo alle temperature. Nell’ultima settimana di giugno e nella prima di luglio, abbiamo avuto temperature alte. Sul web si sono scatenati i commenti, erano divisi in due, da una parte i negazionisti, dall’altra parte gli apocalittici. Entrambi usavano lo stesso metodo, i primi prendevano un titolo di un giornale dello stesso periodo di qualche anno prima che parlava del caldo e dicevano: vedete, ha sempre fatto caldo! Gli altri prendevano un pezzo di ‘Che tempo che fa’, edizione Rai, dove il colonello Baroni, in quel giorno, raccontava delle temperature miti sull’Italia e dicevano: vedete, in quello stesso giorno in Italia era fresco. Non funziona così, un giorno vale zero, nel senso che per disegnare un quadro complessivo, utile per capire se c’è una differenza sostanziale di temperatura, ci vogliono medie statistiche calcolate su 40 e passa anni. Difatti, nella tua rubrica, siccome fai vedere le variazioni di temperatura (il sabato in genere) calcolate sulla media degli ultimi 40 anni, si scoprono sempre cose interessanti. Insomma, si fa così, ovvio. Allora perché secondo te, invece, non è così ovvio? Perché vogliamo avere ragione e vincere in maniera facile? 

“Prima, parlando del tuo lavoro hai accennato alla meteorologia pro doma nost… Allora, innanzitutto è un problema di comunicazione, ma comincio un po’ da lontano”, mi dice Sottocorona. “Quando era studente di Ingegneria, ho fatto qualche supplenza di matematica nelle scuole medie, e lì forse mi sono reso conto, anche se non consciamente, dell’importanza della didattica, dell’insegnamento, del comunicare agli altri quello che tu sai. Non viene da solo, non è automatico. Nella mia attività televisiva (ma anche nei corsi meteo soprattutto per velisti, che continuo a fare) questa didattica rimane presente, sono attento, preoccupato che quello che viene esposto venga anche capito. Sembra banale ma spesso mi dicono che hanno sentito questo o quel meteo… ma non hanno capito nulla! E’ un fallimento comunicativo, no? Io posso fare un briefing meteo professionalmente e tecnicamente perfetto, ma se alla fine chi sta dall’altra parte non comprende quello che ho detto… sono io che sbaglio, no? Ecco, io penso che questo si l’imprinting di base”.

Quindi – domando – siccome alla base c’è un problema di comunicazione, si preferisce  spettacolizzare alcuni dati e non spiegarli, prendendosi tempo: “Ripeto, prevale ma meteorologia pro doma nostra. In questo contesto è inevitabile che io sia costretto a campagne o battaglie contro una vera e proprio disinformazione e spettacolarizzazione riguardo situazioni meteo normalmente fuori media. Le medie sono fatte per starci al di sopra o al di sotto… il valore medio è improbabile che si verifichi esattamente. Trilussa con i suoi polli è passato invano… (per inciso tutti citano il pollo e il mezzo pollo, ma lui parlava di due polli e nessun pollo). E il click-bait fa più danni delle cavallette… perché devo essere io noioso a smentire sempre ’ste cazzate (se mi passi il francesismo) e non chi le spara? L’anticiclone africano, la temperatura percepita…”. 

 Sento – chioso – che vuoi dirmi qualcosa sulle temperature percepite: “Sì. Se l’umidità è alta e ci sono 35°, la temperatura effettivamente percepita sulla pelle non è 42, 43, 45°. La  temperatura resta di 35°. Punto. Se l’aria è molto umida il sudore non evapora facilmente (meccanismo di termoregolazione), e quindi si soffre come se ci fossero 42 gradi. Come se fosse significa non è. Io posso comportarmi come se fossi ricco, ma questo non fa di me un paperone! Insomma, i ‘si dice’ sono un bel cumulo di cazzate”. Io intanto penso a un libro di Giovanni Jervis, contro il sentito dire, chissà dove è finito, Sottocorona invece continua: “Ma le cazzate sono il meno, i ‘si dice’ creano allarme, suggestione soprattutto nelle fasce più deboli della popolazione. Anni fa mi scrisse una coppia di anziani pensionati chiedendomi se davvero si dovessero preoccupare del grande caldo e fare un debito per comprarsi un condizionatore… questo mi ha segnato. Non si allarmano le persone più fragili, lo combatterò finché campo. Qualcuno dal cervello piccino interpreta questo come negazione del cambiamento climatico, cosa ormai talmente evidente che nemmeno merita smentite, ormai. Purtroppo”.

E dai, allora parliamone del riscaldamento climatico antropico, anche del negazionismo. Dunque riassumo brevemente i fatti: le temperature sono in aumento di circa un grado (alcuni dicono molto velocemente) perché alcuni gas emessi con le attività umane creano un effetto serra, diciamo così, di troppo. La quantità di CO2, misurata all’inizio dell’età industriale era intorno  alle 280 parti per milione, ora siamo a 400 parti per milione. I ricercatori che si occupano di clima concordano sul principio di causalità che lega aumento delle temperature con l’aumento in atmosfera di gas clima alteranti, tra l’altro, quasi tutti legati all’uso dei fossili. Diciamo che una parte di noi tende a colpevolizzarsi e a gridare all’Apocalisse, un’altra parte ad assolversi negando il problema. Forse sarebbe giusto se tutti noi ragionassimo sullo stato dell’arte, analizzando cosa è successo nel giro di pochi decenni, quando, cioè, siamo passati dalla fame all’abbondanza. I benefici dell’abbondanza sono enormi: bassa mortalità infantile, buona aspettativa di vita, cibo per quasi tutti, vaccini, antibiotici, scolarizzazione, energia elettrica, ecc. Ebbene, questa è la parte costruttiva. Tuttavia questo mondo che abbiamo costruito si è basato finora sui fossili, inutile negarlo, ed è la parte che ci sta presentando il conto. Potevamo far meglio, evitare di inquinare così tanto? Tranne i casi di inquinamento delinquenziale, purtroppo dobbiamo ammettere che non controlliamo tutto il processo e nessuno di noi, nonostante i vanti tipici di noi umani, ha intense doti di preveggenza. Voglio dire, prendiamo i miei parenti minatori che hanno estratto carbone. Combustibile fossile con il quale è stato prodotta, in passato, energia. Una parte di questa è servita a illuminare lande desolate. E  le persone che quivi abitavano hanno potuto far studiare i loro figli con la luce elettrica. La luce elettrica è stata  portata da quelli che mio nonno chiamava i giganti buoni, cioè i tralicci di acciaio che reggevano i fili e li passavano all’altro gigante più avanti. Insomma, grazie al sacrificio di tanti e alla forza di questa energia il mondo ha accelerato (questo tipo di energia è efficacie, era abbondante e non richiedeva chissà quale conoscenza).

Il Novecento è chiamato anche il secolo meraviglioso, perché nel giro di pochi decenni, grazie all’energia dei fossili, sono stati realizzati i quattro pilastri del mondo moderno (Vaclav Smil). Il primo pilastro è l’ammoniaca, dalla quale ricavi azoto, nutriente principale per le colture: senza azoto le piante producono poco, quindi mangiamo di meno (senza la grande energia che ottieni con gli idrocarburi non riesci a produrre ammoniaca sintetica). Poi c’è l’acciaio e quindi binari, tralicci elettrici, ponti, strade, case (anche qui, l’acciaio di base senza il coke non riesci a farlo). Il cemento, da noi ce n’è troppo, ma in alcuni stati più poveri servirebbe eccome il cemento (anche in questo caso, prima dei forni elettrici, ora in aumento, la produzione del cemento avveniva con i fossili). E infine la plastica, materiale importantissimo, al  quale siamo legati, in fondo nasciamo in una stanza sterile grazie alla plastica e se finiamo in terapia intensiva, anche lì, abbiamo materiali sterili di plastica a nostra protezione. Questi quattro pilastri hanno sostenuto la cresciuta dei bambini (la mortalità infantile si è ridotta tantissimo e l’aspettativa di vita è aumentata) che sono diventati adulti e hanno occupato il mondo, siamo otto e passa miliardi. Che è sogno, non vedere più morire i bambini, ma è anche un costo quando i bambini crescono (siamo noi) e dobbiamo alimentare bocche e sogni e le ambizioni di otto miliardi di persone. Detta così la questione è complessa, sembra quasi una trappola, un sogno che si trasforma in un incubo. Forse per questo, per colpevolizzazione o per rimuovere, quando si parla del cambiamento climatico si preferisce spaventare il prossimo, emozionarlo ma non coinvolgerlo in un ragionamento razionale.

Il meteo è un esempio: c’è un continuo allarmismo che ripetuto a iosa, vedrete, finirà per scocciare un po’ tutti e far vincere i negazionisti: “L’allarmismo di per sé è inutile e pericoloso, non porta a nulla di positivo. Allarmismo e negazionismo sono le due facce della stessa medaglia sbagliata: negativo l’uno e negativo l’altro. Tralasciando il cieco negazionismo, l’allarmismo minaccia cose che non si vedranno domani, e così come non si dovrebbe mai fare una minaccia se non si può mantenerla, così l’allarme ‘a vuoto’ è dannoso per la credibilità della situazione che è realmente preoccupante, ma ‘al lupo al lupo’ come modalità non mi convince… come si diceva una volta ‘chi per bugiardo è conosciuto, anche se dice il ver, non è creduto’. E comunque sono le classi più deboli e fragili, quelle che i condizionatori o il boschetto ombroso in giardino non ce li hanno, a pagare il prezzo maggiore, per il danno che subiscono sia che l’evento estremo si verifichi, in senso materiale, sia che non si verifichi, in senso di apprensione”.

Allora per parlare del cambiamento climatico, capiamo di cosa parliamo: “Quella che è cambiata è la temperatura media del pianeta, più esattamente dell’atmosfera. Non sembri poco, l’atmosfera pesa più di cinque milioni di miliardi di tonnellate, la quantità di energia in gioco è enorme.  Già questi ‘soli’ 1,5 gradi hanno avuto come conseguenze l’estremizzazione dei fenomeni: più siccità, più alluvioni… e non sembri un controsenso, si avranno i ‘danni’ sia dell’una che delle altre, e già si vede chiaramente. D’altra parte un sistema così sterminato non resta immutato, solo un poco più caldo… io faccio spesso l’esempio di un complicatissimo orologio meccanico, con mille rotelle e rotelline, ingranaggi e ingranaggini… se cambi la dimensione anche solo di un ingranaggio, l’orologio non funzionerà più come prima! E l’atmosfera è ben più complicata di un orologio”. 

La mia domanda successiva è cosa sta succedendo, cosa potrebbe succedere in futuro? “Guardando alla sola Europa, si sta delineando una tendenza per cui lo scioglimento dei ghiacci nord-polari potrebbe in buona sostanza ‘accorciare’ la Corrente del Golfo che invece di inabissarsi dopo aver superato le isole britanniche, per tornare in profondità verso il golfo del Messico (e sottolineo Messico…), potrebbe ‘accorciarsi’, inabissarsi prima, lasciando le isole britanniche con le stesse condizioni climatiche del Canada, a parità di latitudine… diciamo 10 gradi di meno. Nel frattempo l’Europa centro-meridionale e mediterranea ha già forse 2,5 gradi in più della media, non 1,5… e tende a peggiorare. E questa che noi leggiamo come irregolarità è invece un’altra regolarità, quella di un pianeta più caldo, un sistema diverso. Semplificando, non si tratta più di stabilire se avremo siccità o alluvioni, ma già stiamo avendo siccità e alluvioni. Sono cambiate le regole del gioco”.

Quindi il futuro? “Il futuro è nero perché stiamo solo rallentando l’immissione della CO2, il che allungherà i tempi di reazione o diciamo dell’inversione di tendenza dell’atmosfera (al raffreddamento) molto, troppo lontano. Paradosso: se oggi non immettessimo più neanche un grammo di CO2 nell’atmosfera, il clima continuerà a peggiorare per decenni, per inerzia: ci ha messo cent’anni a manifestarsi, quanti ce ne vorranno perché rallenti, si fermi e inverta la marcia? L’inerzia è enorme: siamo su una macchina lanciata a duecento all’ora: stiamo solo togliendo il piede dall’acceleratore… ma non abbiamo freni. Quando si fermerà? Se non si considera questo, la mancanza di benefici immediati porterà apparentemente (per gli stolti) acqua al mulino dei negazionisti: visto che non inquiniamo più (magari…) e il clima non solo non migliora ma ancora peggiora?”. 

Sempre parlando di ambiente, una curiosità, ma sei vegetariano?  “La mia scelta non è strettamente vegetariana (anche per età devo tenere una dieta attenta), diciamo che di carne ne mangio ben poca e di rado: di assoluto c’è la negazione a mangiare cuccioli, perché non è indispensabile o obbligatorio: i discorsi che ormai c’è una ‘filiera’ di agnelli, capretti e simili, non reggono, non mi convincono e non mi convinceranno mai. Le soluzioni esistono sempre, basta cercarle e per cercarle bisogna volerle”.

Altra curiosità, su una tua passione: sulla vela.  A me il mare piace moltissimo, però non la vita di mare, spiaggia e ombrellone, il mare mi piace guardarlo, si muove sempre e questo mia dà gioia e inquietudine e curiosità, poi mi piace il vento. Mi chiedevo se anche per te fosse lo stesso e se hai provato momenti di felicità in mare: “Da ragazzo ho passato mesi al mare (Latina, Capo Portiere), poi in effetti pian piano mare sì, non spiaggia… e la vela ha ‘estremizzato’ questo sentire.  Incontro quasi casuale, l’amore è diventato colpo di fulmine, poi amore eterno! Pur non essendo un grande navigatore (con la mia barca essenzialmente Sardegna, Corsica, arcipelago Toscano…), momenti belli, tantissimi, belli anche quelli impegnativi, difficili o faticosi. La leggera inquietudine quando cala la notte in navigazione, e il sollievo quando il cielo comincia a rischiararsi… bisognerebbe essere veri scrittori per riuscire a descriverlo. Cerco brevemente di raccontarti un momento particolare: alle primissime armi aiuto un amico a riportare la sua barca (10 metri) da Sanremo a San Felice Circeo: navigazione continua, senza soste, turni di notte… Questo sconsiderato mi lascia solo al timone con una rotta da tenere, a vela. Emozione, apprensione, anche se il vento era leggero: mai portata una barca di notte… Intanto (il primo e per allora unico corso a Caprera qualche imprinting lo aveva passato) mi lego una cima in vita perché pensavo che se fossi caduto in mare se ne sarebbero accorti la mattina dopo, poi il momento magico: la luna dritta di prua segna un sentiero luminoso (poi ho saputo che si chiama yacamoz)  che posso seguire senza nemmeno guardare la bussola: dura dieci, quindici minuti, poi la luna si sposta, ma è stato un  momento magico… si può dire magicissimo?”.

E allora, abbiamo iniziato con lo sguardo al cielo di prima mattina, avrei sempre la questione esistenziale da sottoporgli e la prendo da lontano. Gli chiedo: dopo decenni di professione, di grafici, previsioni, di litigi, da questo punto di vista hai capito qualcosa in più sulla vita, su chi siamo e sul senso di quello che facciamo? “Io penso che, come non molti altri settori (ma qualcuno sì…), non puoi fare questo ‘mestiere’ (ma è una professione, una scelta di vita, solo a me dico una missione) senza rapportarti al mondo, all’ambiente, alla stolta cecità dell’uomo che, come dice Pascal, ‘corre verso il baratro dopo essersi messo davanti agli occhi qualcosa per impedirsi di vederlo’. A me è stata affidata una barca, quella notte, non la sapevo portare, ma ho fatto del mio meglio, capendo che non potevo andare indifferentemente a dritta o a sinistra, la rotta era verso quella magica luna. L’uomo dovrebbe avere un ‘faro’ e navigare in maniera coerente. Ma non lo fa”.