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Cattivi scienziati

Quando la scienza viene piegata alla propaganda. Il caso Hazan

Enrico Bucci

La dottoressa Sabine Hazan, celebrata dai no-vax per i suoi studi sul microbioma, è al centro di una serie di ritrattazioni scientifiche. Un esempio di come l’autorità venga strumentalizzata e le evidenze distorte per sostenere tesi infondate

Fin dal suo esordio, il movimento antivaccinista ha fatto della lettura selettiva della letteratura scientifica un suo cavallo di battaglia: ogni studio utile alla causa, anche quando è preliminare o basato su pochissimi casi, viene trasformato in “prova definitiva” di un presunto danno da vaccini, mentre vengono ignorati i principi fondamentali della validazione sperimentale, della revisione paritaria e della trasparenza metodologica. Questo approccio conduce a un cortocircuito pericoloso, nel quale la pubblicazione scientifica – anziché chiarire dubbi e orientare decisioni – viene usata come proiezione di paure pregresse, confermate dalla semplice evocazione del nome di un’autorità.

Un caso esemplare utile a esaminare questo comportamento è quello della dottoressa Sabine Hazan, salita sugli scudi del movimento antivaccinista per le sue asserzioni circa l’effetto sul microbioma intestinale della vaccinazione a mRNA contro SARS-CoV2. Quando cominciò a propagandare questa sua idea, divenne una fra le “instant star” antivacciniste, anche nel nostro paese.

Per esempio, riguardando certi post su X di quel periodo, si citava con entusiasmo proprio Sabine Hazan, le cui credenziali - gastroenterologa e fondatrice di un’azienda specializzata nello studio del microbioma intestinale – sembravano, in nome di un abusato principio di autorità, offrire solido supporto dell’idea di un “danno persistente e potenzialmente irreversibile” al microbiota dopo vaccinazione. I dati discussi su X, presentati a un congresso di gastroenterologia nell’ottobre 2022 e firmati proprio da Hazan, riportava osservazioni che mostravano la diminuzione di Bifidobacterium dopo il ciclo vaccinale mRNA. Queste osservazioni, senza preoccuparsi di analisi statistiche robuste e di qualunque connessione con esiti clinici concreti, sono stati esibiti come conferma inoppugnabile di un effetto sistemico, enfatizzando il prestigio del nome Hazan come sigillo di autorevolezza. Eppure, si riferiva di osservazioni su solo 4 soggetti, senza nessuna procedura di controllo in cieco, a intervalli di tempo che non hanno giustificazione e con vari altri problemi metodologici.

Oggi, la vicenda ha conosciuto un passaggio ulteriore: da poco è stata annunciata la ritrattazione di un lavoro pubblicato nel gennaio 2021 su Gut Pathogens, con prima firmataria proprio Sabine Hazan. In quell’articolo si sosteneva di aver isolato RNA di SARS‑CoV‑2 in campioni fecali di pazienti con COVID‑19, ipotizzando una persistenza virale intestinale e un conseguente squilibrio del microbioma responsabile di sintomi gastrointestinali prolungati. Gli editori hanno però rilevato gravi discrepanze tra il protocollo clinico preregistrato e i dati effettivamente riportati, l’assenza di documentazione sull’approvazione etica delle modifiche metodologiche e l’inclusione di partecipanti non conformi ai criteri originari. Quella ritrattazione, la quarta a carico di Hazan, ha smascherato come le conclusioni sensazionalistiche non fossero sorrette da un rigore sufficiente.

Prima di questa ultima ritrattazione, erano già stati ritrattati un lavoro della dottoressa Hazan sull’efficacia dell’Ivermectina nella Covid, uno che affermava di aver scoperto il meccanismo attraverso cui l’Ivermectina avrebbe esercitato il suo effetto protettivo mediante azione sul microbioma intestinale, e infine un altro che descriveva una sperimentazione clinica di fase due di idrossiclorochina in combinazione con azitromicina, vitamina C, vitamina D e zinco, sempre contro la Covid.

La lezione che nasce da questa concatenazione di eventi è rivolta non solo al mondo antivaccinista: l’entusiasmo per ogni dato apparentemente “eclatante”, la credenza acritica nell’autorità di cui giovarsi a supporto delle proprie idee, l’incapacità di valutare un articolo scientifico prima di accettarne le conclusioni, finiscono per alimentare una narrazione che resiste alle rettifiche e si nutre di conferme selettive.

Chi si oppone ai vaccini inquadra questi casi di smentita eclatante come prova di un complotto o di una censura scientifica, anziché riconoscere che la ricerca è un processo dinamico, segnato da errori e correzioni. In questo modo, la fiducia del pubblico viene minata non tanto dai vaccini – sicuri ed efficaci – quanto da un uso strumentale e manipolatorio della scienza, che erode il senso critico e proietta ombre ingiustificate sul sacrificio e sulla dedizione di chi lavora davvero per la salute collettiva. E adesso, coloro che hanno elevato a prova certa le dichiarazioni di Sabine Hazan, ma anche di personaggi come Didier Raoult (con ormai quasi 60 lavori ritrattati) o altri esperti dal chiaro curriculum e dagli altrettanto evidenti problemi, riusciranno dicevo i fan di questi personaggi ad ammettere il loro stesso errore, a capire di essere stati presi in giro e di aver rischiato? I dati dicono di no: più la smentita è sonora, più è difficile ammettere di essere stati degli stupidi.

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