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no alle scoperte

Forse c'è chi invidia gli ebrei al punto da boicottarne la scienza

Lucetta Scaraffia

Dalle malattie rare al campo agroeconomico, la ricerca israeliana ha raggiunto risultati importantissimi. Alcuni sindaci e rettori negano tale evidenza, preferendo rinunciare a curare i propri figli e coltivare terreni sempre più inariditi

Una cara amica, da anni in ansia per la salute della figlia colpita da una grave malattia rara che faceva temere per la sua sopravvivenza, mi telefona con una voce finalmente distesa, piena di speranza: la figlia sta meglio, si è finalmente delineato un possibile processo di guarigione grazie a un nuovo farmaco. Dopo anni di sofferenza e di delusioni, finalmente una speranza concreta.
 

Il farmaco è stato scoperto dalla ricerca medica israeliana. La mia amica mi dice che ha letto di quel sindaco che vuole proibire le medicine israeliane nel suo comune, lo vorrebbe uccidere. Sì, il sindaco di Sesto Fiorentino è convinto di poter comandare su tutto, anche sulle farmacie, e soprattutto pensa di avere compiuto un atto di giustizia emanando la sua assurda proibizione. Ignora evidentemente che la ricerca israeliana, anche in questo campo, ha raggiunto risultati importantissimi, condivisi con tutti coloro che ne hanno necessità. Si tratta anche di ricerche avanzate in settori da noi trascurati perché poco redditizi, come quello delle malattie rare.

 

          

 

Anche in campo agronomico in Israele sono stati inventati modelli di coltivazione innovativi, che permettono di trarre frutto da terreni aridi e inospitali. Anche queste scoperte, che possono essere diffuse ovunque, possono cambiare la vita di tante popolazioni finora destinate alla miseria.

Ma nonostante queste evidenze molti rettori – appoggiati dai docenti e ricercatori – di università italiane hanno deciso di rescindere le collaborazioni di ricerca con le università israeliane: si rendono veramente conto di ciò che fanno, o sono totalmente accecati dall’ideologia? O forse lo fanno perché hanno paura delle violenze degli studenti, o ancor più spesso perché cadono nella tentazione di sentirsi “buoni”, dalla parte giusta?

Le poche voci che hanno provato a difendere la ricerca israeliana lo hanno fatto cercando di assicurare i suddetti rettori che gli scienziati, in Israele, sono tutti contro Netanyahu, come se questa fosse l’unica condizione per renderli accettabili. Si tratta delle stesse persone che, in genere, tuonano contro l’influenza della politica sulla ricerca scientifica, che deve essere invece libera da ogni condizionamento. A meno che si tratti di quella israeliana. Davanti alla presunta mostruosità di Israele cadono tutte le ragioni razionali, cade perfino la consapevolezza che, dalla cesura di queste relazioni scientifiche, chi  ha  più da perdere siamo noi, non loro.

Viene da chiedersi se la negazione di questa evidente realtà non nasca dalla millenaria invidia contro gli ebrei, contro le capacità intellettuali che hanno sempre dimostrato. Per non ammettere questo, per non coltivare una giusta gratitudine verso la ricerca israeliana, siamo pronti a rinunciare a curare i nostri figli, a coltivare terreni sempre più inariditi dal cambiamento climatico, e probabilmente a rinunciare ad altre scoperte della scienza israeliana?

Quanti rettori, quanti sindaci, alla resa dei conti, non farebbero marcia indietro? Ma nessuno glielo chiede, ed essi si ammantano della discutibile gloria di avere dato un contributo alla lotta dei pro Pal, cioè a Hamas.
 

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