cattivi scienziati

Pratiche non convenzionali e menzogne in medicina

Enrico Bucci

Se si vuole usare un placebo non è necessario né etico mentire. Ma in questa pratica terapeutica le panzane sono in un certo senso parte necessaria della terapia

Una delle obiezioni con cui si cerca di giustificare le menzogne raccontate ai pazienti cui sono somministrate varie forme di trattamenti al di fuori della medicina basata sulle evidenze è collegata all’unico meccanismo di efficacia riconosciuto a tali trattamenti dalla scienza, ovvero l’effetto placebo.

Il lettore deve sapere che, seppure non esista nessuna prova convincente di una superiorità rispetto al placebo per nessuna delle pratiche la cui erogazione è caratterizzata come “atto medico”, quali per esempio l’omeopatia, l’omotossicologia ed altre simili trattamenti non convenzionali, è pur vero che l’effetto placebo è scientemente utilizzato da millenni, e negli ultimi decenni la ricerca scientifica ha approfondito a sufficienza le sue basi meccanicistiche per poterlo considerare più efficace rispetto alla mancanza totale di qualunque “atto medico”.

I sostenitori di aure energetiche, medicine quantistiche e sciocchezzari vari a questo punto credono di poter affermare che, se è vero che il placebo può essere utile, allora le panzane che raccontano sono in un certo senso pure esse parte necessaria della pratica terapeutica.

Costoro, tuttavia, ignorano un aspetto importante della deontologia di qualunque professionale: la proibizione della menzogna, il che vale poi in modo particolare quando quella menzogna rappresenta una forma di avvelenamento cognitivo che può portare un soggetto debole (il paziente) al distacco dalla realtà e al rifiuto della scienza, causandogli così un danno diretto.

Non a caso, il codice deontologico dei medici italiani afferma all’articolo 12 quanto segue:

[…] Sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di terapie segrete. In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili.[…]

Non solo: all’articolo 55, troviamo quanto segue:

Il medico non deve divulgare notizie al pubblico su innovazioni in campo sanitario se non ancora accreditate dalla comunità scientifica, al fine di non suscitare infondate attese e illusorie speranze.

Di conseguenza, non solo pratiche la cui efficacia non sia riconosciuta scientificamente e non siano supportate da pubblicazioni approvate dalla comunità scientifica internazionale non possono essere adottate e diffuse come terapia efficace da un medico, ma neanche è possibile comunicare pratiche non ancora accreditate presso tale comunità, per evitare di ingenerare false speranze e danneggiare così i pazienti.

Per le ragioni sopradette, tutti i trattamenti complementari o peggio alternativi alla medicina basata sulle evidenze, inclusi quelli correntemente definiti dalla normativa italiana come “pratiche non convenzionali”, non possono essere presentati in nessun modo come “terapie e di presidi diagnostici”, ma semplicemente come pratiche accessorie, pratiche concesse al medico proprio in riconoscimento del ruolo del placebo, senza che per questo gli sia concesso mentire al riguardo di cosa esse siano alla luce dell’indagine scientifica e senza inventare mondi di energie, spiriti e afflati vitalistici o simili bubbole.

Ma, obiettano in estrema difesa i sostenitori più razionali e avvertiti delle pratiche non convenzionali, se non si condisce con la “visione alternativa” la somministrazione del placebo, questo non funzionerà.

A loro, ricordo che, in realtà, il placebo funziona anche quando al paziente non è affatto nascosta la sua natura, senza bisogno di mentire o nascondere in alcun modo la verità.

Anche una recentissima metanalisi, che ha preso in considerazione 20 studi e 1201 partecipanti (a partire da una selezione iniziale di 3573 articoli scientifici), conclude infatti che, sebbene i meccanismi alla base del funzionamento dell’effetto osservato vadano ancora studiati, il cosiddetto “Open Label Placebo”, cioè il placebo somministrato come tale, senza menzogne accessorie, funziona. Come sostengono gli autori di questa metanalisi, molto si deve fare per migliorare la qualità degli studi in tema;ma questo, ovviamente, vale anche per lo stesso effetto placebo, che sia “open” o meno.

Dunque, sulla base dello stesso livello di solidità delle prove, se l’effetto placebo serve da un punto di vista terapeutico – come la maggior parte della comunità scientifica ritiene – allora esso non necessita di menzogne e infingimenti.

Non serve, cioè, la costruzione di una pseudoscienza o di una scienza falsa per ottenere benefici pari al placebo da una pillola omeopatica o dall’applicazione delle mani di un terapeuta; e considerando che invece pseudoscienza e falsa scienza sono dannose, come qualunque cosa adulteri la capacità di discernimento dei pazienti, è evidente la non eticità della somministrazione di tali pseudonozioni e frottole, anche quando si voglia sfruttare in buona fede l’effetto placebo.

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