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cattivi scienziati

Una pillola per prevenire il cancro al seno

Enrico Bucci

Nel Regno Unito è stato approvato il primo trattamento preventivo per il tumore al seno. Si basa sull’uso di un vecchio farmaco, che ha trovato un nuovo uso, e promette di dimezzare l’incidenza della malattia

Mia madre è morta per un cancro al seno recidivo che, nonostante tutti gli sforzi dei medici, è tornato ed ha preso il sopravvento dopo un’operazione che aveva apparentemente debellato il tumore primario. Tardi, troppo tardi ho scoperto nel suo DNA una mutazione predisponente, che la rendeva un soggetto a rischio. In generale, le donne hanno circa l’11% di probabilità di sviluppare il cancro al seno. Le donne considerate a rischio moderato hanno una probabilità compresa tra il 17 e il 29%, mentre quelle ad alto rischio – comprese quelle con geni BRCA1, BRCA2 o TP53 difettosi – hanno una probabilità del 30% o superiore. Oggi per tutte le donne con un rischio superiore alla media di sviluppare un cancro al seno c’è un’eccellente novità: un vecchio farmaco usato per la terapia del cancro, l’inibitore di aromatasi anastrozolo, è stato per la prima volta approvato da un’agenzia regolatoria, quella britannica, come terapia preventiva.

 

Riflettiamo bene su questo evento, guardando sinteticamente ai dati che hanno portato a questa approvazione: nelle donne a maggior rischio della media e in post- menopausa, si è osservato come, dopo somministrazione giornaliera per 5 anni di anastrozolo, il rischio di insorgenza del tumore si è ridotto del 50%. Ciò avviene grazie al meccanismo di funzionamento del farmaco, che blocca la produzione di estrogeni, e quindi elimina o decresce fortemente la presenza nell’organismo di una delle principali molecole responsabili della crescita e della proliferazione delle cellule cancerose – a quanto pare molto meglio di altri inibitori che pure esistono. Risultati che andavano in questa direzione si erano osservati fin dal 2005, ma il 7 novembre scorso il National Health Service britannico è stato il primo ente regolatore ad autorizzare la terapia preventiva con anastrazolo, il che, ovviamente, costituisce un cambio importantissimo nella gestione di una delle più letali condizioni di rischio per le donne.

 

Tanto per capire l’impatto, si consideri come in Gran Bretagna circa 289.000 donne sono a rischio moderato o alto di cancro al seno. Si stima che se un quarto di loro decidesse di assumere preventivamente una pillola da 1 mg di anastrazolo una volta al giorno, circa 2.000 casi di cancro al seno all’anno potrebbero potenzialmente essere prevenuti in Inghilterra, risparmiando al servizio sanitario nazionale circa 15 milioni di sterline in costi di trattamento e soprattutto evitando la morte per cancro di migliaia di madri, sorelle, figlie e mogli dei cittadini britannici. Non solo: l’anastrazolo è il primo farmaco “vecchio”, cui è stato trovato un nuovo uso specifico grazie a un programma di ricerca su scala mondiale di riposizionamento clinico di molecole già note, il Medicines Repurposing Programme, guidato dall’NHS britannico. Questo ha alcune importanti conseguenze, che possiamo così riassumere. Innanzitutto, il profilo di sicurezza dell’anastrazolo, usato da cinquanta e passa anni, è ovviamente ben noto, per cui sappiamo con certezza quali siano gli effetti collaterali che ci si può attendere. Gli effetti collaterali più comuni del medicinale sono vampate di calore, sensazione di debolezza, dolore/rigidità alle articolazioni, artrite, eruzioni cutanee, nausea, mal di testa, osteoporosi e depressione, tutti reversibili e in molti casi gestibili dal medico e dalla paziente. In secondo luogo, il brevetto del farmaco è scaduto, e quindi esso è già oggi prodotto da diverse aziende, mantenendo il costo del trattamento relativamente basso. Il Medicines Repurposing Programme collaborerà ora con l’MHRA e la British Generic Manufacturers Association per garantire che tutte le aziende che producono l’anastrozolo adottino la nuova indicazione autorizzata. I risultati di ricerca, regolatori e di pratica clinica ottenuti in Gran Bretagna rappresentano un’importante speranza per le donne a rischio di cancro al seno in tutto il mondo: a quando, quindi, l’approvazione del trattamento anche in Italia, in modo da superare la pratica dell’off-label, unica attualmente possibile?

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