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Cattivi scienziati

Obesità e anoressia non sono solo frutto di una scelta: c'entra la genetica

Enrico Bucci

Uno studio ha analizzato il genoma di 800 mila persone per comprendere da cosa dipenda il diverso peso degli esseri umani. Non si tratta di una conseguenza di scelte consapevoli, bensì dell'azione di circa 60 geni specifici

I fattori genetici potrebbero contribuire fino al 50-75 per cento della varianza dell'indice di massa corporea, o Bmi, nella popolazione; in particolare, diversi studi hanno identificato regioni nel nostro genoma, contenente centinaia di geni, la cui sequenza influenza direttamente il peso corporeo.

Nella maggior parte dei casi, la funzione di questi geni rimane sconosciuta, e quindi non è noto il meccanismo attraverso cui essi determinano il Bmi; allo scopo di cominciare a far luce su di esso, un gruppo di ricerca dell'Université Laval e del Quebec heart and lung institute research center ha analizzato il genoma di oltre 800 mila persone di discendenza europea.

Per la sua analisi, il team di ricerca si è concentrato su una regione del cervello che potrebbe influenzare la sensibilità alla risposta di ricompensa legata al cibo, come il piacere provato quando si mangiano cibi grassi o zuccherati, così come i processi cognitivi tra cui il processo decisionale e la memoria. Si ritiene che questa regione del cervello, la corteccia prefrontale dorsolaterale, sia coinvolta anche direttamente nell'appetito e nella sazietà.

Guardando con tecniche di proteomica ai geni che sono attivi in questa parte del cervello e che esprimono proteine specifiche per tale regione, sono stati identificati circa 60 geni, appartenenti alle centinaia come detto già noti per influenzare la massa corporea, i quali potrebbero regolare il Bmi attraverso la loro espressione nella regione del cervello di cui sopra.

Questi risultati supportano l'ipotesi che il cervello svolga un ruolo fondamentale nella regolazione del peso corporeo, e forniscono un indizio circa la ragione per cui il Bmi varia in modo significativo da una persona all'altra.

Secondo i ricercatori, l'evoluzione dell'ambiente alimentare potrebbe aver influenzato i comportamenti alimentari e la capacità di accumulo di energia negli ultimi decenni. In particolare, gli individui con una predisposizione genetica a un peso corporeo elevato avrebbero un peso maggiore rispetto a prima, mentre gli individui che non hanno questa predisposizione erano magri prima e lo sono ancora oggi; questo perché fattori genetici in grado di influenzare la ricerca del cibo e la soddisfazione nel mangiare, tra cui potrebbero essere compresi i 60 geni identificati, avevano effetto più limitato in assenza della illimitata quantità di alimenti ad alto valore energetico cui la popolazione studiata è oggi esposta.

Naturalmente, il ruolo biologico in varie parti del cervello e il contributo dei geni identificati all'omeostasi energetica, cioè all'equilibrio tra assunzione di cibo e dispendio energetico, dovrà essere studiato in modo più dettagliato. Tuttavia, il punto fermo messo nell’identificare delle sequenze di dna che sono certamente implicate nel fenomeno fa presagire un rapido sviluppo del settore, con la possibilità di poter modulare farmacologicamente in futuro con molta maggior precisione quei centri cerebrali più implicati negli squilibri alimentari.

Il fatto di aver identificato fattori genetici che possono controllare il nostro comportamento e così determinare il Bmi spiega inoltre una delle più comuni e diffuse cattive interpretazioni dell’obesità e, in parte, dell’anoressia: l’idea che esse siano esclusivamente dovute a scelte consapevoli o a tratti psicologici precisi.

In realtà, se lo stesso comportamento e la stessa attività psichica di ricerca del cibo e di soddisfazione nel mangiare hanno una componente genetica, come lo studio qui discusso dimostra, la precisa separazione fra “responsabilità” e “costituzione genetica” individuale diventa molto difficile; così come, cioè, una malattia metabolica causata da un difetto genetico può provocare una alterazione patologica del Bmi, allo stesso modo può avere un effetto finale simile una diversa alterazione genetica del nostro cervello, alla radice di comportamenti alimentari sbagliati.

In presenza di un forte stigma sociale, soprattutto nei confronti delle persone obese, è importante ricordare che, come lo studio discusso dimostra, l’obesità è raramente esclusivamente il frutto di una scelta consapevole o di un comportamento volontario: il nostro dna può infatti determinare in parte o anche completamente la quantità di grasso corporeo, nonostante in certi casi l’azione dei geni sia nascosta da un’alterazione di un tratto comportamentale.

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