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cattivi scienziati

Come l'archeogenetica può aiutarci a produrre antibiotici più efficaci

Enrico Bucci

Studiare il genoma dei nostri antenati è un modo per recuperare le difese molecolari contro patogeni pericolosi per la nostra specie. I risultati di uno studio basato sui peptidi

L’ibridazione fra Homo sapiens e altre specie umane ha variamente influenzato la nostra capacità di rispondere a diversi patogeni. Per esempio, come discusso anche su queste pagine, alcune varianti genetiche che la nostra specie ha probabilmente intercettato incrociandosi con i Neanderthal sono risultati essere un fattore che predispone a una maggiore severità dei sintomi causati da sars-cov-2. Tuttavia, è possibile anche chiedersi se, con l’estinzione delle specie più antiche fra quelle a noi vicine, non si siano perdute informazioni genetiche che sarebbero state utili a combattere i patogeni. In altre parole, ci si può porre questa domanda: è possibile che nel dna di altre specie umane fossero codificate le difese molecolari contro patogeni importanti per la nostra specie, difese che magari noi non possediamo nella stessa misura o comunque che siano diverse da quanto si osserva nella nostra specie?

Ora, grazie a uno studio di frontiera pubblicato per il momento come semplice preprint, può darsi che si sia trovato insieme un metodo per rispondere a questa interessante domanda e una prima, parziale risposta. Tutto è partito con uno studio pubblicato l’anno scorso, grazie al quale un gruppo di ricercatori ha potuto dimostrare la presenza di oltre 2000 peptidi antibiotici codificati dal moderno dna umano – cioè di oltre 2000 piccoli frammenti proteici, in grado di agire più o meno efficacemente come antibatterici.

 

Ora, gli stessi ricercatori hanno identificato altri sei peptidi antibiotici codificati nell'antico dna estratto da Neanderthal e da una differente specie, l’uomo di Denisova, i quali non sono presenti negli esseri umani moderni. 
Grazie ad un algoritmo di intelligenza artificiale, i ricercatori hanno innanzitutto predetto il modo in cui, a partire dalle proteine prodotte dal genoma dei nostri progenitori, si sarebbero potuti generare peptidi antimicrobici, sulla base di certe proprietà che tali peptidi devono avere per essere generati e per mostrare tale attività. Hanno così identificato 69 potenziali peptidi antibiotici ottenibili dagli antichi genomi.

 

I ricercatori hanno quindi ordinato i peptidi a un'azienda in grado di produrli. Provando in vitro la loro attività contro diversi tipi di batteri, ne hanno potuto verificare l’azione antibiotica; 6 peptidi, in particolare, sono stati caratterizzati per la prima volta, e risultano essere dei nuovi antibiotici, mai prima descritti. Di questi, tre provenivano da uomini di Neanderthal e tre da Denisovani, e ciascuno era attivo contro almeno una specie di batterio, tra cui Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa – che causa infezioni ospedaliere polmonari e del sangue – e Acinetobacter baumannii, in grado di causare gravi infezioni in persone immunosoppresse.
Inoltre, uno dei peptidi da Neanderthal ha funzionato anche contro lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina, o MRSA, un superbatterio ben noto perché resistente a diversi antibiotici ampiamente utilizzati. Esaurite le prove in vitro, si è passati ai test in animale. Nei topi, due peptidi di Denisova sono risultati attivi contro le infezioni della pelle da P. aeruginosa e uno di Neanderthal contro quelle da A. baumannii. Le molecole testate hanno ridotto i livelli batterici di almeno tre ordini di grandezza ed erano efficaci quanto un peptide antimicrobico clinicamente approvato, la polimixina B.

 

A questo punto, abbiamo una prima dimostrazione di come l’archeogenetica possa recuperare informazione genomica utile alla nostra specie, nel caso specifico sotto forma di antiche molecole attive che, a causa dell’estinzione delle specie che ne erano dotate, non sono più disponibili negli organismi viventi, ma che possono essere facilmente ricreate in laboratorio grazie alle moderne tecniche di sintesi e biologia molecolare. I nostri parenti più prossimi e più recenti si sono estinti, per ragioni ancora non perfettamente chiarite; ma è ben probabile che essi, insieme a chissà quante altre specie anche non necessariamente imparentate con la nostra, avessero sviluppato adattamenti molecolari che potrebbero tornare ben utili anche a noi Sapiens. L’informazione contenuta negli antichi genomi, recuperata e unita all’informazione prodotta dalla nostra cultura, può ancora essere vantaggiosa, se riusciremo a mantenere in piedi le condizioni culturali, sociali, di mercato e di democrazia liberale indispensabili allo scopo.

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