CATTIVI SCIENZIATI

L'analfabetismo scientifico dell'italiano medio, un male con radici antiche

Enrico Bucci

Il sistema scolastico è stato costruito su misura di liceo classico. Ma la formazione umanistica deve essere sostenuta da una robusta dose di metodo e fatti scientifici. Altrimenti, il rischio è di avvitarsi sugli effetti evidenti di un analfabetismo nefasto

Molti, per cercare di trovare una spiegazione all’incapacità dell’italiano medio di accedere cognitivamente anche alle più modeste spiegazioni di quanto accade basate sul metodo scientifico e sull’uso dell’aritmetica e della logica elementare, citano un ormai diffuso e permanente stato di analfabetismo scientifico del cittadino comune, il quale, sin dai banchi di scuola, non è stato né istruito né invogliato ad esercitarsi nell’utilizzo delle tecniche elementari del pensiero analitico. La prova statistica di questa affermazione starebbe nella diffusione dell’analfabetismo scientifico in Italia, una misura rilevata con più metodi diversi costantemente nel tempo da moltissimi diversi investigatori di questo problema.


Come è subito evidente, tuttavia, addurre la diffusione dell’analfabetismo a spiegazione dell’analfabetismo è una ovvia tautologia, e quindi qualche considerazione un po’ più approfondita si rende necessaria, soprattutto sotto l’urgenza di poter affrontare le cause che portano alla persistente e irriducibile ampiezza di una condizione mentale che porta a non comprendere le prove, pur temporanee e probabilistiche, che la ricerca scientifica ci porta nei casi quali quelli occorsi durante la presente pandemia, quando certamente una maggiore preparazione elementare su certi temi avrebbe portato anche ad una maggior capacità di scelte oculate su vaccini, misure di prevenzione, farmaci e altro.


Per cercare di identificare almeno uno degli ostacoli che tuttora impediscono a molti concittadini di progredire da un punto di vista cognitivo, indipendentemente dal proprio percorso formativo e dalla propria carriera scolastica, accademica e professionale, propongo al lettore un semplice esperimento: provi innanzitutto egli ad elencare o ad ottenere l’elenco di eminenti personaggi del mondo umanistico italiano – scrittori, musicisti, poeti, letterati, filosofi eccetera - che hanno popolato nei tempi passati il nostro paese. Nomi come Manzoni, Petrarca, Dante, Leopardi, Machiavelli, Carducci, Verdi, Mascagni, Vivaldi, Michelangelo, Giotto e molti altri saranno probabilmente noti alla maggior parte dei soggetti interrogati, insieme a qualche nozione del perché essi hanno portato lustro al nostro paese. Sia poi posta la domanda di elencare qualcuno degli italiani che hanno maggiormente contribuito all’avanzamento del pensiero in ambito scientifico. Galilei sarà da tutti citato, insieme probabilmente a Leonardo, ma già pochi ricorderanno Alessandro Volta o Guglielmo Marconi. Nessuno farà il nome di Camillo Golgi, Giuseppe Levi, Enrico Fermi, Amedeo Avogadro, Renato Dulbecco, Ettore Majorana, Emilio Segré, Bruno Pontecorvo, Giulio Natta, Giovanni Cassini, Vito Volterra, Ugo Amaldi, Bruno De Finetti e molti altri. Naturalmente, se si ignorano questi nomi, a maggior ragione si ignorano i contributi di questi italiani al pensiero moderno; ma è la scomparsa della loro memoria in Italia, a confronto di quella mantenuta per la controparte in diverse discipline umanistiche che punta ad una rimozione precisa e volontaria.


La ragione di questa rimozione non è una, e si intreccia con molteplici fenomeni socioculturali che intervengono da secoli nel nostro paese; tuttavia, val forse la pena di ricordare un momento preciso di circa un secolo fa, che ha visto espressa molto chiaramente la volontà precisa di indirizzare la preparazione degli italiani in una direzione sbagliata, perché ostile alla formazione scientifica di base. Il filosofo Benedetto Croce, epigono del neoidealismo italiano, scriveva nel 1908: “Gli uomini di scienza [...] sono l'incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all'organismo filosofico-storico.” Pochi anni dopo, il generoso sforzo del matematico Federigo Enriques di fondere filosofia e scienza, e di porre questa fusione al centro della formazione degli italiani, fu bloccato in via definitiva da Croce e dal suo sodale Giovanni Gentile, i quali in una celebre polemica pubblica stroncarono non solo la visione di Enriques, ma espressero chiaramente una visione in cui lo statuto della scienza era povero e inadatto alla vera cultura e al vero progresso intellettuale. Come ricorda Armando Massarenti, gli scienziati furono definiti “ingegni minuti”, e Gentile, divenuto ministro dell’istruzione, costruì un sistema educativo imperniato sul Liceo classico, riservato alle élite e unico a dare accesso a tutte le facoltà universitarie, e sulla compressione di matematica, fisica e scienza – così che oggi gli italiani ignorano persino chi fra loro ha raggiunto grandi risultati in questi campi, contribuendo ad elevare la comprensione scientifica del mondo.


Non voglio dire che la formazione classica, che io stesso ho ricevuto, sia da buttare a mare; tutt’altro, essa è patrimonio indispensabile perché gli individui imparino ad apprezzare il bello, a conoscere il giusto, a pensare rettamente e a non dimenticare il passato. Solo che essa necessita di essere sostenuta a scuola da una robusta dose di metodo e fatti scientifici, così che accanto all’apprezzare la bellezza di pensiero umano e delle sue produzioni si possa anche comprendere come utilizzarne gli strumenti minimi che ci permettono di confrontarci con la pandemia, il cambiamento climatico ed in generale con l’universo fisico in cui viviamo: perché dalla peste non sarà la lettura di Manzoni a salvarci.

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