cattivi scienziati

Il biodinamico ama le mucche, un po' meno l'ambiente

Enrico Bucci

Gli animali allevati in loco per lo stallatico e il gas serra prodotto, il consumo di terra e i trattori: due conti ecologici

Qual è l’impatto ambientale della biodinamica? Come già ampiamente argomentato, di certo l’effetto sull’ambiente non è migliore dell’equivalente pratica biologica. Ma ci possono essere punti aggiuntivi da valutare, rispetto al biologico, che siano invece peggiorativi? Alcuni elementi devono essere portati all’attenzione di tutti, perché possa partire una discussione seria. Ripeto, una discussione: non pretendo di avere già raggiunto molti punti fermi, perché le pubblicazioni scientifiche che trattino specificamente vantaggi e svantaggi della biodinamica in paragone al biologico sono pressoché nulle, se si vuole trovare qualcosa che abbia standard metodologici adeguati.

 

Cominciamo da un elemento caratteristico, desumibile dal disciplinare Demeter. Come è noto, i propugnatori del biodinamico richiedono che le aziende certificate producano stallatico con animali allevati in loco (o in altre aziende biodinamiche prossime, per compensare eventuali impedimenti pratici). In particolare, il disciplinare di Demeter specifica quanto segue: “Per determinare un carico minimo di animali presenti in azienda si considera un valore di 0.2 UBA/ha; pertanto un’azienda da 20 ettari dovrà garantire la presenza di almeno 4 UBA (4 bovini adulti o equivalenti)”. Limitando il ragionamento ai bovini, si immagini che, se dividessimo la superficie agricola disponibile in Italia in quadrati di circa 225 metri di lato, nelle aziende biodinamiche dovremmo in media avere una mucca per ognuno di questi appezzamenti (eccetto per quelle molto piccole, per le quali è prevista una deroga).

 

La cosa interessante è che, assumendo una superficie agricola utile (SAU) di circa 13 milioni di ettari in Italia (report dell’Istat “Coltivazioni agricole -annata agraria 2019-2020 e previsioni 2020-2021”), se essa fosse interamente convertita alla produzione biodinamica, dovremmo avere almeno 2,6 milioni di bovini allevati all’interno delle aziende che utilizzano tale superficie o in collegamento immediato con esse. Ora, l’allevamento dei bovini è attività che produce notevoli emissioni di gas serra; in tutto il mondo si sta cercando di limitarne l’impatto ambientale, perchè nel suo insieme esso è responsabile di oltre il 14% delle emissioni (l’aviazione, per fare un confronto, di circa il 2%). Né, d’altra parte, vi è alcuna dimostrazione rigorosa che il suolo trattato con il sistema biodinamico intrappoli meglio i gas serra rispetto a suoli trattati in maniera equivalente, senza preparati o altre aggiunte, ma soprattutto senza l’ossessivo ricorso alle vacche; in questo caso, quindi, vi è il dubbio – dubbio, perché non vi sono studi – che l’impatto ambientale aggiuntivo specificamente legato al disciplinare Demeter non sia irrilevante.

 

Vi è un secondo elemento, che è emerso in una discussione che ha visto allo stesso tavolo produttori di vino della Borgogna, dell’Austria, del Portogallo e della California confrontarsi circa “l’impronta di carbonio” della viticoltura biodinamica. Il problema è che per le aziende di grandi dimensioni la nebulizzazione dei preparati biodinamici va fatta con i trattori, e si tratta di una procedura aggiuntiva rispetto al biologico; il che implica un maggior consumo di energia ed una maggiore emissione di gas serra legati al biodinamico. Inoltre, in viticoltura resta il problema del rame, visto che anche nel biodinamico è prevista una deroga; e gli effetti tossici dell’uso massivo di questo metallo, in sostituzione di altri prodotti che pure avrebbero meno impatto, stanno diventando sempre più chiari.

 

Ancora, ottenendosi una resa ridotta rispetto all’agricoltura integrata, a parità di prodotto ottenuto, la biodinamica consuma più terra, per esempio, dell’agricoltura integrata – e questo è un dato ben stabilito in letteratura scientifica; ed a questo non si può opporre che potremmo ridurre la necessità di suoli agricoli diminuendo lo spreco di cibo, perché lo spreco di cibo non è legato al sistema con cui è prodotto, ed è obiettivo di tutti. Dunque, più biodinamico significa meno ambiente naturale selvaggio, e maggiore antropizzazione per ottenere un numero predeterminato di risorse alimentari.

 

Infine, ai fisici chiedo: poiché il biodinamico dal punto di vista termodinamico è molto meno efficiente (richiede cioè molto più lavoro per per ottenere la stessa quantità di cibo), come possiamo pensare di consumare meno energia grazie alla sua adozione? E a tutti: perché, senza dati, crediamo che il biodinamico sia la tecnica migliore per preservare l’ambiente?

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