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Cattivi scienziati

Persino il Brasile massacrato dal virus non vuole Sputnik

Enrico Bucci

Per l'Agenzia regolatoria del paese i dati sul vaccino russo sono incompleti: alla base della scelta ci sono motivazioni legate alla trasparenza ma anche alla produzione e alla qualità del farmaco, che contiene adenovirus 5 in grado di replicarsi

E così, nonostante il Brasile sia letteralmente distrutto da Sars-CoV-2, l’Anvisa, cioè l’agenzia regolatoria di quel paese, ha deciso di non autorizzare la distribuzione di Sputnik, il vaccino russo. Vale la pena di richiamare quali sono stati i motivi che l’agenzia ha illustrato per giustificare la sua decisione.

 

Innanzitutto, come su queste pagine e altrove più volte si è ripetuto, la documentazione presentata è incompleta. È interessante notare come nella presentazione dell’esito della valutazione sia stato ribadito un punto fondamentale: una pubblicazione scientifica – anche su Lancet – non è un via libero regolatorio. E poi la stessa pubblicazione è incompleta, a maggior ragione è necessario andare a fondo e richiedere la documentazione più approfondita che ogni produttore dovrebbe aver pronta; ma, come già avvenuto in passato, i russi hanno presentato a quanto pare un dossier fortemente manchevole, riguardo a un lungo e popoloso elenco di punti che l’agenzia ha illustrato. Come per Ema, anche nel caso della procedura di valutazione di Anvisa assistiamo a un dibattersi e divincolarsi del produttore e del suo principale sponsor, che pur avendo tra le mani quello che potrebbe essere un buon prodotto, non sono in grado di fornire la documentazione richiesta. Trasparenza e completezza dei dati continuano a essere un problema; il livello del compromesso che ciascuna autorità regolatoria è disposta a raggiungere, di fronte all’aggravarsi della pandemia, è variabile da paese a paese, ed è per questo che le approvazioni vantate in paesi disparati non sono necessariamente evidenza del fatto che questi problemi siano stati superati.

 

Detto questo, la comunicazione di Anvisa è interessante per un ulteriore punto, fin qui non sollevato pubblicamente da nessuno. Tutti i lotti di vaccino esaminati da quella autorità regolatoria sono risultati contenere adenovirus 5 in grado di replicarsi. Come è possibile? Per capirlo, dobbiamo guardare al processo di produzione di Sputnik. Questo vaccino si basa sulla propagazione del vettore in una linea di cellule renali umane, le cellule Hek-293. L’adenovirus vettore con cui queste cellule sono infettate è privo della capacità di replicarsi, per una mutazione che è stata introdotta allo scopo. Tuttavia, le cellule Hek-293 possiedono integrato nel proprio Dna proprio delle sequenze di adenovirus 5, fra cui quelle in grado di conferire al virus la capacità di replicarsi. Molto raramente, l’adenovirus 5 difettivo preparato dai ricercatori può ricombinare il proprio genoma con il Dna cellulare – può cioè recuperare dalla cellula usata per il processo produttivo il frammento di Dna che serve a riacquisire la capacità di replicarsi. Finché si tratta di produrre, diciamo, 5 litri di vaccino per un clinical trial, contenenti una quantità limitata di virus, l’evento è così raro che vi è una probabilità sostanzialmente nulla che si realizzi; ma quando si preparano batch da 1.000 e più litri per una campagna vaccinale, la pur bassa probabilità è sufficiente a generare qualche virus che ha recuperato la capacità di replicarsi. A questo punto, quel virus si espanderà nel bioincubatore, contaminando l’intero lotto vaccinale e pregiudicando una intera produzione.

 

Per questo motivo, la giustificazione degli scienziati del Gamaleya apparsa sull’account Twitter gestito dal fondo russo Rdif (lo sponsor), che l’adenovirus è stato mutato per renderne impossibile la replicazione, è insufficiente, e non tiene conto della letteratura pubblicata circa la possibilità che si realizzi il processo di recupero della capacità replicativa sopra descritto. Normalmente, per prevenire questi problemi si fa un controllo qualità di ogni lotto prodotto, volto a identificare eventuali lotti contaminati; il che, a quanto pare, non è accaduto per Sputnik. Si tratta di un classico problema di produzione e qualità, non di scienza sottostante; e quello che è accaduto è in linea con la difficoltà produttiva della Russia, da una parte, e con il suo ostacolare le ispezioni ai siti produttivi o al Gamaleya, come lamentato dal Brasile (e come richiesto a suo tempo dall’Ema, che venne accusata di “burocratizzare” l’approvazione).

 

Ora, è indispensabile che chiunque decida di usare per prove cliniche o campagne di vaccinazione lo Sputnik controlli la qualità di ciò che si inietta, questo almeno finché non vi sia garanzia di un continuo e trasparente controllo del ciclo produttivo e tutti i dati necessari, di ricerca, sviluppo e produzione siano a disposizione delle autorità regolatorie.

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