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Cattivi scienziati

Popolazione virale

Enrico Bucci

Tracciarla permette di capire l’origine dei vari focolai epidemici e di monitorare i nuovi ceppi del virus

Siamo un paese peculiare. Ci piace moltissimo interessarci di nuove varianti virali sui giornali e nei social, interrogarci sulle proprietà di questa o quella variante virale, ipotizzarne la circolazione in Italia e magari – come in Veneto – cercare di scaricare la responsabilità politica di scelte sbagliate sulla variante estera di turno. Ci infervoriamo sulla biologia e la trasmissibilità di questi virus, senza nemmeno avere i dati sperimentali a disposizione, ma spremendoci le meningi per interpretare ogni possibilità pur remota. Addirittura, ci accaloriamo in discussioni animate fra ricercatori, circa l’impatto epidemiologico che si potrebbe avere in Italia a causa dell’arrivo di questa o quella variante. Eppure, in Italia non facciamo l’unica cosa che davvero servirebbe, che è quella poi suggerita anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità: organizzare una sorveglianza coordinata a livello nazionale, grazie alla quale una rete di laboratori ben strutturata possa fornire dati di sequenziamento genetico a ritmo sostenuto, come accade in altri paesi (Inghilterra in testa).

 

 

Ce lo ricorda un’associazione di biologi fondata da alcuni giovani ricercatori – i “Biologi per la scienza” – che hanno lanciato una petizione perché sia costituita tale rete scientifica, indispensabile per capire cosa succede sul territorio nazionale in termini di evoluzione della popolazione virale. Questa conoscenza ha un utilizzo ben preciso per scopi diversi, che cercherò di ricapitolare brevemente di seguito. Innanzitutto, conoscere come stanno evolvendo le popolazioni virali italiane ci permetterebbe di avere un dato molto utile a determinare l’origine di vari focolai epidemici, attraverso l’analisi filogenetica; sapere dove e come possono essere iniziate ondate di infezioni a livello locale può aiutare a capire come sia potuto succedere e ad agire di conseguenza in chiave preventiva.

 


In secondo luogo, la misura della dinamica della popolazione virale è un dato che, indipendentemente dalle misure di positività dei tamponi, permette di comprendere la velocità di differenziazione e di emergenza di nuovi ceppi; questa è tanto più elevata quanto più l’epidemia è in ripresa, e consente di avere una misura dello stato dell’epidemia che non risente dei problemi collegati al modo in cui si selezionano i soggetti su cui si effettuano i tamponi o al numero dei tamponi effettuati. Infine, naturalmente, isolare varianti consente di trovarne di nuove, come sta avvenendo in questo periodo: è questo l’unico modo per poi testare se queste varianti, per esempio, sono in grado di creare problemi (ai vaccini o per la maggiore trasmissibilità). Altro vi sarebbe ancora da dire circa l’utilità dei dati di sequenziamento; a me basta ricordare in conclusione che forse, anziché lasciare tutto all’iniziativa dei singoli laboratori, sarebbe ora che l’appello dei giovani “Biologi per la scienza” – ma in realtà di chiunque sia stanco di certe discussioni da bar su internet a proposito di varianti e genomi italioti – trovi adeguata risposta istituzionale.

 

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