Stephen Hawking è morto a 76 anni (foto LaPresse)

E' morto Stephen Hawking, genio eccentrico della fisica

Redazione

Aveva 76 anni ed era diventato celebre per le sue scoperte sui buchi neri. Studente geniale, ma imprevedibile e piantagrane, a soli 37 anni salì sulla cattedra di Newton, come professore di Matematica a Cambridge. Gli studi, la malattia, i successi. Un ritratto

E' morto a 76 anni il fisico Stephen Hawking, noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri. Ad annunciarlo è stata l'Università di Cambridge. La sclerosi laterale amiotrofica, con la quale ha convissuto per gran parte della sua esistenza, non gli ha impedito di lavorare come docente e di svolgere i suoi studi su relatività, quantistica e cosmologia. Il fisico è morto nella sua casa a Cambridge nelle prime ore della mattina. "Siamo profondamente addolorati per la scomparsa oggi del nostro amato padre", hanno dichiarato in un comunicato i figli Lucy, Robert e Tim. "Era un grande scienziato e un uomo straordinario il cui lavoro e il cui lascito resteranno per molto tempo". I figli hanno lodato "il coraggio e la perseveranza", del padre il cui "acume e umorismo" hanno ispirato la gente nel mondo, hanno sottolineato. "Una volta disse che 'un universo non sarebbe molto, se non fosse la casa delle persone che ami. Ci mancherà per sempre'", hanno concluso. Ripubblichiamo un ritratto di Hawking pubblicato nel Foglio nel giugno del 2009, scritto da Erica Scroppo.

 


 

Anno 1979, Cambridge University Library. Mi imbatto in una carrozzella con sopra una figura piccola e contorta, ma che emana forza e carisma. “È Stephen Hawking – dice mio marito – un genio dell’astrofisica che non può ottenere il Nobel perché i buchi neri non sono visibili né dimostrabili. Ha una malattia incurabile che porta alla tomba in poco tempo, ma lui sopravvive da 15 anni”. Più di vent’anni sono passati, Stephen Hawking non ha ancora avuto il Nobel, ma è sempre qui a Cambridge, ed è divenuto anche una celebrità. Ha perso l’uso della parola, comunica solo grazie a un computer-robot che dà voce ai suoi pensieri: per anni con accento americano (“Salve, scusate l’accento” era il saluto abituale) e timbro metallico da androide; da poco con baritonale voce inglese. I suoi movimenti sono ridotti a zero ma la sua mente è sempre all’opera: è appena uscito in Inghilterra “L’universo in un guscio di noce”, che eguaglierà il successo del suo primo libro divulgativo, “Breve storia del Tempo”, che ha venduto oltre 10 milioni di copie.

 

È salito sulla cattedra di Newton a soli 37 anni, come professore di Matematica a Cambridge, e da questa università non si è più spostato, anche se qui guadagna molto meno di quanto gli offrirebbero altrove, specie in America. Amore duraturo. Fisicamente Stephen Hawking è una sfida alla scienza. Fino al 1962, però, era un ragazzo normalissimo, proveniente da una famiglia in cui capacità intellettuali e impegno politico andavano a braccetto. Cresciuto a St. Albans, tra Londra e Cambridge, ma nato a Oxford l’8 gennaio 1942, anniversario della morte di Galileo. Gli Hawking avevano fama di eccentrici. Il padre, medico e ricercatore di malattie tropicali, lungo e taciturno, veniva visto spesso inseguire sciami di api che allevava e dal cui miele traeva strani liquori. Giravano su un vecchio taxi londinese. La madre negli anni 30 era stata comunista e portava i figli alle marce antinucleari, la casa era disordinata e a tavola ognuno sedeva con un libro aperto davanti. Mangiavano minestre di ortiche, la stanza di Stephen sembrava la grotta di un mago. Come altri geni, da Leonardo a Einstein, Stephen era dislessico e ci mise molto a imparare a leggere. Il che non gli impedì di ottenere giovanissimo una borsa per studiare Fisica a Oxford. Si distinse soprattutto per l’allegria goliardica e l’attivismo antinucleare. Bertrand Russell era il suo eroe. Gran ciuffo di capelli e occhiali, acutissimi e beffardi occhi grigio-azzurri, sorriso disarmante e sense of humour, era un ragazzo popolare. La carriera accademica fu meno brillante, ma Stephen riuscì comunque a laurearsi con un First, un 110 e lode. “Se mi date di meno resterò qui a far ricerca” pare che abbia detto alla commissione, “se invece mi date un First andrò a Cambridge e avrete il vantaggio di una spia in campo nemico”.

 

Forse volevano liberarsi di uno studente geniale ma imprevedibile e piantagrane, fatto sta che Stephen prima del suo 21esimo compleanno si ritrovò ricercatore nel dipartimento di Cosmologia di Cambridge. Si indirizzò però verso la Fisica teorica. Poco dopo gli venne diagnosticata una forma atipica di una malattia a tutt’oggi incurabile, l’atrofia progressiva dei neuroni delle cellule motorie che colpisce la spina dorsale e la parte del cervello che dirige i muscoli volontari. Per un po’ Wagner e l’alcol sono i soli compagni della sua cupa depressione. Ma poi decide di combattere la malattia: da quel momento la ignorerà. Lo aiuta l’incontro con una timida liceale dai capelli rossi. Jane diverrà sua moglie nel 1965, l’anno in cui lui ottiene il Phd a Cambridge e giunge alla conclusione che la morte non è imminente. Ammette: “Prima della malattia ero molto annoiato dalla vita; bevevo un po’ troppo e non credo di aver studiato niente. Quando invece le aspettative sono ridotte a zero, si apprezza tutto quel che si ha”.

 

Perduto l’uso della scrittura sviluppa la già prodigiosa memoria; è capace di dettare dal nulla 50 pagine di equazioni e il giorno dopo rettificare un piccolo errore di calcolo. Per essere un uomo che non riesce a muoversi ha viaggiato più di tanti suoi colleghi; per uno che non può parlare, ha tenuto più conferenze di chiunque altro. Non può scrivere, ma ha pubblicato decine di trattati, saggi, documenti. Col passare degli anni il computer è divenuto la sua voce, la carrozzella il suo corpo. La guida a velocità folle, la fa volteggiare, la usa per schiacciare i piedi di chi gli sta antipatico. La nascita del primo figlio, Robert, nel 1967, gli dà un’ulteriore carica di energia. Stephen è presente al parto e quando torna a casa è così sconvolto dall’emozione che i vicini credono che la moglie sia morta. L’arrivo di Lucy, nel 1970, suggella la vittoria sul male. La famiglia modello, con il genio in carrozzella, la bella moglie e gli splendidi pargoli biondi diventa l’icona pop del mondo scientifico. Nel 1979 arriva anche Tim, il bebè miracoloso. Gli assomiglia più di tutti, nonostante sia altissimo, motivo per cui non potrà fare il pilota di Formula Uno, come avrebbe sognato.

 

La passione per la guida spericolata è ereditaria: Jane ricorda un terrificante viaggio da St. Albans a Cambridge e ritorno, da fidanzati: lui guardava tutto tranne la strada e non rispettava nessun divieto, proprio come faceva suo padre. Nulla lo turba, nulla lo spaventa, ogni avventura lo tenta e resta nell’animo lo scanzonato ribelle che ancora oggi scherza con gli studenti e non vuole essere una figura autoritaria e lontana. Partecipa alle loro feste e balla pure, turbinando sulla carrozzella fino alle ore piccole, spericolato e irruente come a vent’anni. Nel suo studio campeggia un poster di Marilyn Monroe, “A qualcuno piace caldo” è il suo film preferito. Quando, nel consegnargli l’ennesima medaglia, un collega americano notò che, avendo un figlio con la metà degli anni della malattia, “ovviamente non tutto in Stephen è paralizzato”, il pubblico si raggelò, ma a lui la battuta piacque moltissimo.

 

Niente lo diverte quanto la possibilità a un ricevimento importante di essere irriverente o provocatorio, anche con il presidente degli Stati Uniti o il premier israeliano. È stato premiato dal Vaticano e ricevuto due volte dal Papa, nonostante le sue proteste per l’amato Galileo. Quando ottenne la prestigiosa onorificenza di Companion of Honour della regina e fu ricevuto da Elisabetta privatamente, si buttò con tanto entusiasmo nel salone da rischiare di travolgerla e rimase intrappolato in uno dei pesanti tappeti. Perfino la compostissima sovrana per qualche secondo sembrò agitata. Rimpiange di non esser mai riuscito a pestare i piedi della Thatcher, non la poteva soffrire. Fu attendendo Tim nei giardini della scuola, che Hawking conobbe un tecnico di computer. Fu lui a creare una versione portatile del sintetizzatore della sua voce, adattandolo alla carrozzella. A poco a poco la fama portò soldi e il male peggiorò; accanto alla moglie arrivò un esercito di infermiere per accudirlo 24 ore su 24. Tra queste fu assunta la moglie dell’amico informatico, Elaine Mason.

 

Arriviamo al 1991. Jane ormai è costretta a ricordare al mondo che “Steve non è Dio”, e pare che lui non sia sempre d’accordo. Finché apprende con costernazione che “Dio” sta per lasciarla, preferisce l’infermiera, che invece è pronta a genuflettersi in adorazione davanti al genio. Jane insegna Letteratura spagnola, canta, è una devota anglicana; sostiene che la celebrità può dare alla testa anche a un genio, specie se adulato. Il professor Hawking si definisce un socialista di destra. È favorevole all’aborto nel caso di malattie ereditarie diagnosticabili (la sua non lo è) e pensa che la più grande minaccia per il genere umano sia la possibilità di un virus geneticamente manipolato. Mette come seconda minaccia dell’umanità il surriscaldamento globale, perciò ha preso posizione a favore del trattato di Kyoto. Anni fa dichiarò: “Siamo creature così insignificanti in un pianeta minore di una stella mediocre ai margini di una tra centomila milioni di galassie. Quindi è difficile credere in un Dio che possa preoccuparsi per noi o perfino accorgersi della nostra esistenza”. Più che ateismo, è forse un concetto troppo alto e rigoroso della Divinità. Forse un’estremizzazione di quello che i nonni paterni, metodisti dello Yorkshire, e materni, presbiteriani scozzesi, hanno insegnato ai loro figli.  

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