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Editoriali

Diminuire il Fondo per i farmaci innovativi indebolisce salute e ricerca

Redazione

Per coprire i 140 milioni di euro annui necessari per gli acquisti diretti di farmaci, il governo ha deciso di ridurre in modo strutturale il Fondo, che scenderà da 1,3 miliardi a 1,16 miliardi di euro. Ma tagliarlo significa mandare un segnale chiaro: quando i conti non tornano, l’innovazione è la prima a essere sacrificata

   

La modalità con cui il governo ha deciso di intervenire sui tetti della spesa farmaceutica, con un emendamento alla legge di Bilancio, è assai discutibile. Da un lato si aggiusta il tiro sulla spesa per gli acquisti diretti di farmaci che continua a crescere a ritmi strutturalmente più elevati rispetto alle previsioni contabili. Ma è sul modo in cui questa scelta viene finanziata, incrementando complessivamente dello 0,3 per cento il tetto di spesa, che si apre una crepa politica e strategica. Per coprire i 140 milioni di euro annui necessari, il governo ha deciso di ridurre in modo strutturale il Fondo per i farmaci innovativi, che dal 2026 scenderà da 1,3 miliardi a 1,16 miliardi di euro. Una riduzione secca, ripartita proporzionalmente tra farmaci innovativi, innovatività condizionata e antinfettivi contro i germi multiresistenti.

    

È qui che la misura rischia di trasformarsi in un autogol. Il Fondo innovativi non è una posta qualunque del bilancio sanitario: è uno strumento pensato per garantire accesso rapido alle terapie più avanzate senza scaricare immediatamente i costi sui bilanci regionali. Tagliarlo significa mandare un segnale chiaro: quando i conti non tornano, l’innovazione è la prima a essere sacrificata. Una scelta miope, perché la ricerca non è un lusso, ma una leva di sostenibilità futura del sistema. C’è poi un paradosso: un Fondo ridotto potrebbe non reggere l’arrivo, nei prossimi anni, di una terapia realmente rivoluzionaria destinata a una platea ampia di pazienti. In quel caso, a pagare sarebbero anche le stesse aziende, attraverso il meccanismo del payback, alimentando un circolo vizioso che penalizza proprio chi investe. L’alternativa esisteva ed era più razionale: consentire un uso flessibile delle risorse non spese del Fondo, senza intaccarne a priori la dotazione. Si è preferito un taglio lineare, facile sul piano contabile ma rischioso sul piano industriale e sanitario. Una scelta che risolve un problema immediato, ma lascia un punto interrogativo sul futuro della farmaceutica e della capacità del paese di credere nell’innovazione.