le misure del nuovo governo

Covid: i medici non vaccinati tornano in corsia, ma restano le mascherine

Ruggiero Montenegro

Il governo approva il primo provvedimento sanitario: la linea del liberi tutti passa fino a un certo punto. Ma dal Lazio alla Lombardia, le regioni si smarcano con provvedimenti autonomi per proteggere i più fragili: "Serve prudenza"

Alla fine, la linea del liberi tutti sul Covid passa ma fino a un certo punto. La discontinuità auspicata e invocata dalla premier ci sarà, ma non su tutti gli aspetti annunciati. Niente condono, almeno per il momento, alle multe per i circa 1,9 milioni di italiani non vaccinati. Ma accanto ai provvedimenti sulla Giustizia e sui rave, nel primo decreto licenziato dal governo Meloni cade l'obbligo – inizialmente previsto fino al 31 dicembre – di vaccinazione per i sanitari. Così, circa quattromila dottori potranno tornare in corsia. "Il quadro epidemiologico è oggi mutato, con un impatto limitato sugli ospedali", ha spiegato il ministro alla Salute Orazio Schillaci, che nel presentare il provvedimento ha voluto ricordare l'importanza dei vaccini per superare la pandemia. 

La decisione, ha poi ribadito Giorgia Meloni nella conferenza stampa post Consiglio dei ministri, vuole rispondere alla ormai cronica carenza di personale. Dal punto di vista di chi ha lavorato in prima linea nella lotta pandemia, tuttavia, “lascia perplessi, in quanto un medico che non si è vaccinato non è un buon medico”, dice al Foglio Alessio D'Amato, l'assessore alla Sanità del Lazio e prossimo alla candidatura per governare la regione.

Sull'uso dì mascherine in ospedali ed Rsa il Consiglio dei ministri ha deciso di prorogare l'obbligo, nonostante la scorsa settimana, il ministro Schillaci avesse lasciato intendere che la fine del provvedimento fosse ormai prossima. E invece oggi, in conferenza stampa, Schillaci ha spiegato che "non c'è stato nessun ripensamento". Di sicuro il monito di Mattarella – “non possiamo ancora proclamare la vittoria finale sul Covid. Mantenere alta la sicurezza” – e le pressioni giunte dal mondo scientifico e sanitario, hanno cancellato ogni possibile tentazione. Oltre a questo diverse regioni hanno subito reagito alla possibilità che il governo cancellasse l'obbligo dei dispositivi di protezione individuale, manifestando con provvedimenti autonomi la propria contrarietà. 

“Il permanere di livelli di contagio non marginali obbliga alla prudenza, in modo particolare rispetto a pazienti e fasce deboli negli ospedali e nelle Rsa”, aveva detto questa mattina il governatore e commissario alla Sanità della Campania Vincenzo De Luca, invitando il governo a un ripensamento anche sul fronte dell'obbligo vaccinale: “Sarebbe inaccettabile costringere pazienti magari allettati a farsi curare da personale non vaccinato. Sarebbe, questa sì, una forma di violenza verso i più fragili", aveva aggiunto il presidente della regione.

Posizione molto simile a quella espressa da Letizia Moratti, che sempre questa mattina ha convocato una cabina di regia regionale sulla Sanità in Lombardia, nel corso della quale è stata ribadita la necessità di utilizzare le mascherine negli ospedali e al contempo è stata ricordata “l’importanza e l’efficacia delle vaccinazioni, anti-Covid e antinfluenzale, per la prevenzione delle malattie infettive, in particolare negli operatori sanitari”, come ha detto la stessa vicepresidente e assesore al Welfare della Lombardia.

E pure il Lazio ha voluto mandare un messaggio al governo, decidendo per la proroga dell'ordinanza sui dispositivi sanitari ben prima che anche Meloni e Schillaci ne confermassero l'utilizzo. “Una decisione saggia la loro”, commenta D'Amato, anche in vista della possibilità, con l'abbassamento delle temperature di assistere a un nuovo aumento dei contagi, senza dimenticare gli effetti delle influenze regionali.  Tuttavia, “penso che con un passaggio preliminare avremmo evitato questo balletto”, ha precisato l'assessore, dicendosi in una certa misura “preoccupato” dagli azzardi sanitari di questo centrodestra. “Auspico comunque che ci possa essere una maggiore dialettica con le regioni, non solo in relazione al Covid”, ha concluso il resposabile della Sanità laziale. Si riferiva alla crisi energetica, che coinvolge inevitabilmente le strutture ospedaliere, e alla discussione più ampia sulle risorse al comparto sanitario nella sua interezza, quando un rapporto proficuo tra governo centrale ed enti locali sarà condizione indispensabile.