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Cosa dobbiamo aspettarci dall'evoluzione del Covid

Enrico Bucci

SARS-CoV-2 è ancora pericoloso, ma soprattutto ad esso seguiranno altre pandemie e altri patogeni: investire oggi non serve solo a proteggerci da un virus, ma a poter migliorare lo stato generale dell’igiene e della salute pubblica

Vista la ripresa dell’epidemia, credo sia utile ricapitolare alcuni concetti, con uno sguardo da un lato all’immediato futuro, e dall’altro a un orizzonte più lontano, che rappresenti un possibile punto di arrivo della nostra coesistenza con SARS-CoV-2.

Cominciamo da qui: è possibile ipotizzare uno scenario non dico certo, ma almeno probabile, cui porterà il processo evolutivo del virus?

 

Lo scenario di lungo periodo

Un modo per cercare di intravedere quanto potrebbe succedere è guardare agli altri quattro coronavirus umani stagionali, responsabili ogni anno di una percentuale che può arrivare fino al 20 per cento delle infezioni respiratorie stagionali riscontrate. HCoV-NL63, HCoV-229E, HCoV-OC43 e HCoV-HKU1 appartengono a due generi tassonomici distinti e hanno tropismo e meccanismi molecolari diversi di invasione dell’ospite, rappresentando per questo motivo un campione utile per guidarci nella comprensione generale della biologia dei coronavirus respiratori endemici e stagionali. La circolazione di questi coronavirus, come ha spiegato molto bene il mio amico Marco Gerdol, è frutto di due fenomeni: un rapido calo dell’immunità umorale post-infezione e la contemporanea emersione di varianti immunoevasive. La maggioranza delle persone sviluppa anticorpi contro i coronavirus stagionali fin dall’infanzia; tuttavia, il livello di anticorpi circolanti diminuisce in pochi mesi. Ciò significa che, sebbene la memoria immunitaria sia presente e attiva contro le conseguenze cliniche più importanti, la diminuita barriera all’infezione, insieme alla mutazione della proteina Spike, consente ai coronavirus respiratori stagionali di reinfettarci a intervalli regolari e di continuare il proprio percorso darwiniano andando alla deriva nel proprio spazio evolutivo, rimanendo in uno stato pseudostazionario, fatto di oscillazioni nel tempo della numerosità delle infezioni e di locali focolai. A questo stato di cose si è arrivati, naturalmente, dopo fasi di tumultuosa e irregolare espansione virale, in epidemie e pandemie del passato che sono cominciate oltre 20.000 anni fa e che hanno lasciato tracce di selezione genica nelle popolazioni umane più esposte.

Potrebbe essere questa la traiettoria evolutiva anche per SARS-CoV-2? Certamente sì, ma bisogna tenere conto del tempo e di alcuni particolari. Lo stato stazionario osservato per gli altri coronavirus respiratori stagionali, per cominciare, comporta un R0 molto più piccolo rispetto a SARS-CoV-2 Omicron e alle sue sottovarianti: finchè emergeranno virus estremamente infettivi e rapidi nella diffusione, la probabilità di raggiungere una traiettoria fatta di oscillazioni stabili e periodiche è bassa e si assisterà invece a subitanee espansioni, seguite da periodi di stasi di lunghezza variabile e impredicibile, con la possibilità di molteplici picchi in un anno. Tuttavia, la possibilità per qualunque virus di espandersi dipende dal repertorio antigenico nuovo che ogni variante può sviluppare per evadere la risposta immunitaria dell’ospite; questo è un processo vincolato superiormente, sia perché non è possibile variare all’infinito una proteina senza che se ne perda la funzione, sia perché è sempre più difficile differenziare antigeni completamente nuovi, che siano in grado di evadere del tutto la risposta immunitaria precedente di una popolazione, se questa popolazione è stata esposta a varianti diverse disomogeneamente, così da presentare una varietà di repertorio immunologico che previene la facile diffusione pandemica sin qui osservata. Questo ultimo è il motivo per cui alla lunga si andrà probabilmente verso lo scoppio di epidemie locali, difficilmente sincronizzate in tutto il mondo, come invece avviene nel caso di una pandemia.

Ma, se questo è uno scenario verificabile in un tempo che non sappiamo ancora quantificare, come siamo invece messi adesso, in presenza di una nuova ondata di casi?

Hic et nunc

Il 2021 è stato l’anno del trionfo dei vaccini. Varianti anche molto pericolose, come la delta, sono state tenute egregiamente sotto controllo, e la disperazione, la malattia e la morte causate da SARS-CoV-2 nel 2020 non si sono più viste: i vaccini, cioè, hanno salvato letteralmente milioni di vite ed evitato in scala ancora maggiore malattia e danni seri. Certo, si poteva fare molto di più, soprattutto perchè i vaccini non sono stati distribuiti equamente e per la stupidaggine di taluni individui, anche nella classe dirigente mondiale; comunque, il bilancio è e resterà sempre positivo.

Tuttavia, oggi abbiamo nuovo motivo di preoccupazione, perché SARS-CoV-2 ha evoluto varianti fortemente immunoevasive, da cui probabilmente nemmeno i vaccini che si prevede di rilasciare questo autunno potrebbero proteggerci bene come accaduto in passato. Su Nature, infatti, leggiamo che l’immunità umorale provocata dall’infezione di BA.1 non è protettiva nei confronti di queste nuove varianti; questo implica che i nuovi vaccini, basati su BA.1, non è detto che funzioneranno bene contro BA.4, BA.5 e le altre varianti discusse dalla rivista. La cosa, del resto, è stata confermata anche dal capo della BioNTech, il quale teme che i vaccini che ci si prepara a utilizzare in autunno, basati su Omicron BA.1, non saranno efficaci contro le varianti attualmente in circolazione o, ancor più, contro altre che potrebbero guidare l’attesa ondata invernale.

Del resto, anche adesso si stanno cominciando ad accumulare evidenze del fatto che la protezione contro la malattia grave conferita da tre dosi di vaccino stia calando: in uno studio in cui si è paragonato l’effetto protettivo nei confronti di delta a quello contro Omicron BA.1/BA.2, si è misurato in 21 ospedali USA un decrescita dal 95 per cento di protezione al 77. Intendiamoci bene: Omicron causa circa un decimo delle ospedalizzazioni rispetto a delta, ma la differenza fra vaccinati con tre dosi e non vaccinati, per quel che riguarda questa variante, si è sensibilmente assottigliata.

Ora, a tutto quanto sin qui discusso si potrebbe obiettare che, in ogni caso, Omicron (anche BA.4 e BA.5) comporta un rischio di conseguenze severe che è circa un decimo rispetto a Delta, e che quindi tutto sommato possiamo smettere di preoccuparci; vi sono però due obiezioni a questa considerazione.

La prima è che ogni reinfezione aumenta il rischio di conseguenze severe, dato che come recentemente dimostrato in uno studio sui veterani americani, chi ha avuto infezioni multiple, indipendentemente dal suo stato vaccinale, sviluppa un rischio crescente di malattia e morte a breve e medio termine e proporzionale al numero di infezioni; non è quindi una buona idea accumulare infezioni.

La seconda, forse ancora più importante, è che il numero assoluto di pazienti che finiranno in terapia intensiva e di persone che arriveranno al camposanto dipende dal numero di infezioni, non solo dalla probabilità di conseguenze dell’infezione: un virus poco virulento che circoli molto provocherà alla fine più morti e ospedalizzati di una variante più virulenta, ma meno trasmissibile. Individualmente si rischia di meno con le varianti attuali, ma senza la protezione dei vaccini la collettività rischia comunque, e con le prossime varianti, ove si verificasse un crollo di questa barriera, il rischio potrebbe essere davvero complessivamente alto, se lasceremo semplicemente fare al fato.

 

Proteggersi e proteggere

Nelle condizioni descritte, i rimedi e le cose da fare nel nostro paese sono chiari (per quelle da farsi a livello globale, rimando ad altre letture).

Innanzitutto, è importante attrezzarsi mentalmente all’idea che il pericolo non è per nulla terminato; è tuttavia gestibile e affrontabile, senza battere i piedi per la disperazione ed esercitando uno dei tratti che ci ha resi umani, che come ho scritto è la pazienza.

Per quel che riguarda ciascuno di noi, visti i fatti, le misure di buon senso e di provata efficacia – mascherine ffp2 al chiuso, areazione, test e isolamento dei positivi – non vanno affatto abbandonate, e questo al di là dei contraddittori messaggi dati all’opinione pubblica. Tutto può ovviamente essere meglio modulato, per pesare meno: per esempio, l’isolamento può abbreviarsi, vista la scarsa infettività ad una settimana dai sintomi, e certamente la mascherina può essere portata laddove serve, e non in modo indiscriminato o universale. Tuttavia, bisogna ricordarsi che per raggiungere lo stesso numero di malati in ospedale con un virus dieci volte meno pericoloso basta infettare dieci volte più persone: è questa la responsabilità individuale, di cui dobbiamo farci carico e sulla base della quale dobbiamo testarci e isolarci se positivi. In questo caso, comunque, possiamo contare su alcuni nuovi farmaci, che in passato non c’erano: burocrazia permettendo, abbiamo antivirali e antinfiammatori già approvati, che tagliano i rischi di ospedalizzazione, e anche nuove molecole in avanzata fase clinica, come il raloxifene testato proprio nel nostro paese e alla cui caratterizzazione ho io stesso partecipato.

Per quel che riguarda le istituzioni, si devono recuperare tempo e denaro perso. A suo tempo, è stato per esempio erogato all’ISS un finanziamento multimilionario per una rete di monitoraggio genomico: intercettare varianti nuove serve anche a isolarle per testare rapidamente contro di essa la protezione offerta dai vaccini. Inoltre, era stato già copiosamente finanziato un hub vaccinale, che nelle intenzioni avrebbe dovuto renderci capaci di allinearci a paesi non dico come la Germania, ma almeno l’India in quanto a capacità di ricerca e produzione di vaccini: oggi serve un nuovo vaccino al più presto, ma un anno di tempo e molti soldi non si sa dove siano finiti. Questo per non parlare dell’agognato monitoraggio statistico che renda possibile adeguare le misure di sanità pubblica alla situazione epidemiologica reale, senza dover inseguire ogni volta il virus; e senza contare gli investimenti assolutamente necessari per filtrare e migliorare la qualità del flusso di aria negli edifici pubblici, in primis le scuole, attraverso l’impiego per esempio dei filtri Hepa, dimostratamente in grado di abbattere la trasmissione dell’infezione.

Non intendo inoltre dilungarmi sulla mancata riorganizzazione del sistema sanitario regionale e sulla necessità di intervento tanto sulla sua amministrazione, che sulla sua costituzione e sulla connessa burocrazia; di questo, chiunque non viva su Marte è ben cosciente.

SARS-CoV-2 è ancora pericoloso, ma soprattutto ad esso seguiranno altre pandemie e altri patogeni: investire oggi non serve solo a proteggerci da un virus, ma a poter migliorare lo stato generale dell’igiene e della salute pubblica, come avvenne quando, oltre un secolo fa, si decise di intervenire massicciamente per debellare le epidemie di colera, tifo, tubercolosi ed altre malattie nelle metropoli europee, attraverso interventi architettonici, sanitari, ospedalieri, prima ancora che farmacologici.

Questo, non altro, significa convivere con il virus, perché il futuro non ci verrà incontro gioioso e pacifico, senza che facciamo niente per disegnarlo prima.

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