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Burocrazia antivax

La Catalent, che produce vaccini, rinuncia a un investimento da 100 mln  per i tempi della Pa

Giovanni Rodriquez

Il consiglio di amministrazione della società ha deciso di dirottare in Inghilterra tutto il piano di produzione. Troppi nove mesi per non ricevere l'autorizzazione alla costruzione di due bioreattori

Il 21 luglio del 2021 la multinazionale farmaceutica Catalent annunciava un progetto di espansione del suo stabilimento di Anagni, in provincia di Frosinone, da ben 100 milioni di dollari. Si tratta dell’impianto dove si stavano già infialando milioni di dosi di vaccini contro il Covid di AstraZeneca e Johnson&Johnson. Oggi, a distanza di nove mesi, la doccia fredda. A causa delle lungaggini burocratiche e dei tempi eccessivamente lunghi per il rilascio delle autorizzazioni, il consiglio di amministrazione della società ha deciso di abbandonare il progetto su Anagni dirottando in Inghilterra tutto il piano di produzione. Un colpo durissimo per la zona che, oltre al maxi investimento, vedrà andare in fumo cento posti di lavoro.

 

L’azienda puntava all’installazione di due bioreattori a uso singolo da duemila litri, insieme alle strutture necessarie per altri sei bioreattori analoghi. Con l’espansione si puntava poi a produrre, a partire da aprile 2023, quei composti farmaceutici alla base di alcuni medicinali biologici, inclusi i vaccini contro il Covid e terapie come quella con anticorpi monoclonali. Tutto questo è venuto meno a causa di problemi burocratici. Il nodo principale riguarda in particolare il fatto che Anagni rientra nell’area Sin (Sito di interesse nazionale) del bacino del fiume Sacco. Si tratta cioè di una di quelle aree del paese attenzionate per problemi di inquinamento e oggetto di opere di bonifica e risanamento. Bonifiche in realtà ferme al palo. Ciononostante, restano in vigore le norme con vincoli molto stringenti per l’autorizzazione delle procedure. Si richiede infatti, oltre alle autorizzazioni ambientali della provincia e della regione, anche il via libera del ministero della Transizione ecologica. Non è stata sufficiente l’ingente somma messa a disposizione da Catalent per accorciare i tempi di rilascio dell’autorizzazione ambientale e, dopo nove mesi, è arrivato ieri l’annuncio della rinuncia. Nulla di troppo inatteso visto che difficilmente i tempi del mercato e dell’industria possono adattarsi a quelli della nostra macchina burocratica.

 

Il dietrofront di Catalent è stato accolto con un certo disincanto anche dal sindaco di Anagni, Daniele Natalia: “Tanto tuonò che piovve. Da tanto tempo diciamo che il Sin, così come concepito, è una iattura e non una risorsa/tutela per il territorio. Non salvaguarda l’ambiente e neanche i posti di lavoro. La multinazionale Catalent ha ufficialmente ritirato l’investimento da 100 milioni di euro per il suo stabilimento di Anagni poiché al Ministero dell’Ambiente è rimasta bloccata la pratica autorizzativa. Le multinazionali e il mercato del lavoro non aspettano i tempi biblici dell’Italia per concedere una semplice autorizzazione ambientale”, spiega il sindaco. “Quando il Sin della Valle del Sacco venne istituito nel 2017 – prosegue  Natalia – si adottò per la sua perimetrazione un criterio estremamente, anzi direi follemente, prudenziale che incluse vastissime parti del territorio  di Anagni, anche lontane chilometri dal famigerato fiume Sacco, decretandone la paralisi economica e l’impossibilità di attirare investimenti. Domani, chiederò di istituire un tavolo tecnico assieme alle aziende, alle associazioni di categoria, al ministero dell’Ambiente, alla regione Lazio, alla provincia di Frosinone e a tutti gli altri organi ed enti responsabili, per studiare l’immediata deperimetrazione del Sin e per la sburocratizzazione dell’attuale farraginosa procedura che priva il territorio di risorse e posti di lavoro. Abbiamo lottato per il territorio, pochi ci hanno affiancato, pochissimi ci hanno ascoltato. E questi sono i risultati. E’ una vergogna che deve finire”.


 

E pensare che il nostro paese, sin dall’inizio del 2021, si era lanciato prima sul progetto Reithera di Castel Romano con l’obiettivo di produrre un proprio vaccino contro il Covid e poi, con la regione come capofila, nel tentativo di produrre il vaccino russo Sputnik nel Lazio. Velleità che si scontrano con un’amara realtà: quella di un investimento da parte di una multinazionale consolidata, che già produce vaccini ad Anagni, che sfuma dopo un’attesa lunga quasi un anno per una semplice autorizzazione ambientale mai arrivata.

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