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Cattivi scienziati

Cosa si sa dell'ultima variante del Covid e sull'efficacia dei vaccini

Enrico Bucci

Periodicamente i media si affollano di domande sulle varianti, più o meno motivate. In questo caso, potremmo anche avere un virus con una trasmissibilità maggiore, ma le differenze con la variante Delta sono minime

Come periodicamente succede, varianti di Sars-CoV-2 che per mesi sono state osservate nella popolazione prendono improvvisamente a infettare i titoli dei giornali, perché per qualche motivo stocastico superano la soglia di attenzione e si trasformano da flussi evolutivi indistinguibili nella popolazione virale in oggetti mediatici a sé stanti, da utilizzare nella comunicazione per scopi diversi e in modo più o meno saggiamente motivato. Adesso è il momento della variante “Delta plus”, il che sta comportando per tanti ricercatori – incluso il sottoscritto – un nuovo pressing giornalistico per rilasciare il proprio parere in merito; dunque risponderò qui in maniera concisa, sperando di soddisfare curiosità e ansia dei miei gentili interlocutori.

Cominciamo dalle definizioni: si è deciso di chiamare “Delta plus” un insieme di virus, derivati dalla variante Delta “classica”, che presentano con frequenza più elevate mutazioni della proteina Spike molto diffuse nel globo, tutte concentrate in un unico genoma. È importante afferrare il concetto: non esiste un singolo e ben determinato tipo di virus che chiamiamo Delta plus, ma un insieme di mutazioni variabile, che in altri virus – incluso il progenitore Delta – si trovano molto poco frequentemente tutte insieme, mentre in un gruppo di virus, che chiamiamo Delta plus, tendono a trovarsi a frequenze molto più alte e tutte insieme. Tre mutazioni (K417N, V70F, e W258L) sono in particolare state trovate simultaneamente solo nella proteina Spike del gruppo Delta plus; ma molte altre sono variamente presenti in virus diversi, anche se meno frequentemente e soprattutto non tutte riunite. Da aprile 2021, quando la Delta plus è stata caratterizzata con precisione in India, a oggi, la sua evoluzione non si è fermata: il ceppo principale si sta ramificando, e continuerà ovviamente a evolvere, finché non decideremo di dargli un nome diverso perché avremo arbitrariamente deciso che è cambiato a sufficienza. Delta plus, quindi, è solo un altro fotogramma dell’evoluzione del virus ancora in corso, lungo uno dei tanti rami dipartitisi dal virus originario; ma è uno stadio evolutivo più pericoloso dei precedenti?

Per rispondere, possiamo prendere i dati pubblicati da Nature il 14 ottobre scorso, ove sono presentati alcuni risultati interessanti che pongono a paragone Delta, Delta plus e Delta V – un ennesimo ceppo emerso da poco in Vietnam. In laboratorio, utilizzando virus chimerici per provare l’effetto delle mutazioni sulla proteina Spike, si è visto che né la proteina Spike di Delta plus né quella di Delta V conferiscono capacità di ingresso nelle cellule diversa da quella del progenitore di ceppo Delta. Per quello che riguarda la capacità del plasma di soggetti guariti dal virus o vaccinati con vaccino a Rna, la variante Delta si conferma più resistente rispetto al virus originario, ma i derivati ceppi Delta plus e Delta V non differiscono dalla Delta. Infine, per quanto riguarda la risposta agli anticorpi monoclonali, la proteina Spike di Delta plus, similmente alla Delta, resiste a Bamlanivimab, ma in aggiunta, grazie probabilmente alla mutazione S:K417N originariamente osservata nel ceppo beta del virus, resiste anche ad Etesevimab. Questo dato dimostra come la terapia con anticorpi monoclonali, anche in cocktail, può rapidamente essere messa fuori gioco dalle mutazioni sulla proteina Spike.

I dati su Nature ci dicono quindi che la capacità di entrare nelle nostre cellule e quella di evadere la risposta anticorpale di Delta plus e Delta V non dovrebbero essere molto diverse da quelle di Delta; tuttavia, vi sono altre caratteristiche che possono divergere e conferire un vantaggio a Delta plus, spiegando così il suo incremento in Inghilterra a scapito della Delta. Delta plus, infatti, presenta mutazioni anche in proteine diverse dalla Spike; queste mutazioni potrebbero influenzare la sua capacità di propagarsi nella popolazione, modificando per esempio la velocità di replicazione (e quindi la carica virale) o la stabilità nell’ambiente esterno.

Nel complesso, quindi, potremmo anche avere un virus con una trasmissibilità maggiore (per ora non è noto con certezza né se sia così né eventualmente di quanto); tuttavia, alla luce dei dati pubblicati da Nature, Delta plus non sembra avere capacità immunoevasive o di ingresso in cellula diverse rispetto alla variante Delta (né, tanto meno, con caratteristiche cliniche diverse), per cui al momento non abbiamo ragione di aspettarci un peggioramento significativo del quadro o una diminuzione dell’efficacia dei vaccini.

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