cattivi scienziati

I guariti più protetti dei vaccinati? Servono dati solidi, non ipotesi

La voglia dei No vax di trovare argomenti

Enrico Bucci

A partire da un preprint fitto di errori e bias metodologici, c'è chi dice   sia meglio infettarsi e superare Covid invece di sottoporsi alla vaccinazione

Sulla base di un preprint fitto di errori e bias metodologici, si cerca di dimostrare oggi che la protezione offerta dall’infezione naturale contro la reinfezione da Sars-Cov-2 sia migliore di quella offerta dalla vaccinazione.

 
Ora, la possibilità che questo possa essere vero è astrattamente ammissibile; tuttavia, non è possibile riferirsi  al preprint in questione come argomento per “lasciar fare al virus”, invece di affidarsi ai vaccini.

  
Da un punto di vista meramente logico, difatti, i risultati riferiti nell’articolo si riferiscono al puro rischio di reinfezione fra coloro che sono sopravvissuti alla prima infezione; dunque nel conto non si tiene presente che l’infezione naturale uccide, e che i risultati comunque si applicherebbero solo ai superstiti.

 
Mentre questo è sottinteso dagli autori del preprint, in realtà lo stesso preprint è ricco di bias di selezione e di osservazione; anziché discutere di questi (che sono peraltro immediatamente accessibili andando a esaminare la discussione riportata pubblicamente al di sotto del preprint, nel server ove è depositato), vale la forse la pena di discutere di uno studio molto più robusto,  a opera del servizio statistico nazionale inglese, che riporta i seguenti dati.

 
Basandosi sui risultati ottenuti nel test e nel tracciamento di tutti i casi inglesi fra il 17 maggio e il 14 agosto, dunque nel pieno dell’ondata delta, emerge la sostanziale equivalenza fra una doppia dose di vaccino e l’infezione naturale per quanto riguarda il rischio di reinfezione.

 
Secondo i dati riportati, chi si è infettato ha un rischio di reinfezione diminuito del 71 per cento rispetto a chi non è mai stato vaccinato o infettato dal virus. Chi ha ricevuto due dosi di vaccino AstraZeneca, senza mai essere stato infettato prima dal virus, ha visto il proprio rischio di infezione diminuito del 62 per cento, e chi ha ricevuto due dosi di vaccino a Rna del 73 per cento.

 
La differenza fra i due tipi di vaccino può essere dovuta anche ad alcuni bias, quali le differenti fasce di età cui sono stati somministrati; resta il fatto che, in entrambi i casi, non si osservano differenze statisticamente significative nel periodo di tempo osservato, per quanto riguarda il rischio di reinfezione.

 
Naturalmente, nel tempo può benissimo darsi – come da più parti confermato e pubblicato – che la protezione offerta dai vaccini diminuisca, richiedendosi quindi dosi di boosting; ma lo stesso ragionevolmente accade pure per la protezione offerta da una precedente infezione del virus (e anche in questo caso esistono i primi dati).

  
In sostanza, quindi, il clamore che si sta facendo circa il fatto che sia meglio infettarsi, oltre a non tener conto che qualunque confronto fra infettati dal virus e vaccinati per forza di cose si fa tra i superstiti al virus, senza tener conto di chi non ce l’ha fatta, dimostra nuovamente semplicemente la voglia dei No vax di trovare argomenti, senza nemmeno essere bene in grado di comprendere ciò che leggono e di giudicarne in modo approfondito la validità.

 
Questo non significa che l’ipotesi di una diversa immunità conferita da virus o da vaccino sia da scartare a priori, ma solo che i dati a supporto debbono essere solidi, e i dati disponibili, per quel che riguarda il semplice parametro della protezione dall’infezione in intervalli di tempo paragonabili dalla vaccinazione o dalla prima infezione, non appare sin qui diversa; ma mentre con il vaccino l’immunità si raggiunge senza rischiare la vita, se non per percentuali trascurabili, il virus, nelle sue diverse varianti, riempie i cimiteri di coloro che non hanno mezzi per difendersi.
 

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