Vaccini e moneta, una questione di fiducia

Luciano Capone

Sospensione precauzionale, effetto panico, annunci incoerenti e perdita di autonomia rispetto al governo. Perché la credibilità del vaccino si può recuperare, ma quella dell’Aifa no. Un parallelismo tra politica monetaria e vaccinale al tempo del governo Draghi

Probabilmente non c’è persona più consapevole dell’importanza della fiducia di un banchiere centrale. Ovviamente gestire la politica monetaria è cosa molto diversa dal definire la politica sanitaria, ma ad accomunare la moneta ai vaccini è il fatto che la forza di entrambi si basa sulla fiducia: i cittadini devono avere una certa convinzione che non ci saranno sorprese, ovvero che nel tempo la moneta e il vaccino non rivelino un valore inferiore a quello inizialmente annunciato. Per questo motivo è di fondamentale importanza la credibilità delle istituzioni regolatorie, la loro autonomia di giudizio rispetto agli obiettivi e la prevedibilità degli annunci che agiscono sulle aspettative delle persone. Tutto questo lo sa benissimo Mario Draghi che, grazie alla credibilità sua e dell’istituzione che presiedeva, ha salvato l’euro con tre ormai storiche parole. E ha dimostrato una notevole indipendenza dalla politica quando, ad esempio, nel 2015 ha respinto le pressioni del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble che avrebbe preferito che fosse stata la Bce a spingere la Grecia fuori dall’euro. Si trattava di una decisione politica, che non poteva essere mascherata da una decisione tecnica della Bce come l’interruzione della liquidità d’emergenza fornita alle banche greche.

 

Ma nella decisione di vietare in via precauzionale l’utilizzo del vaccino di AstraZeneca – tema al centro ieri di una telefonata fra Draghi e Macron – le cose sono andate diversamente. E’ come se all’emergere di timori sulla tenuta di un istituto di credito per via di notizie non confermate, la Banca centrale – mentre è li a rassicurare tutti sulla solidità – ne annunciasse la chiusura temporanea degli sportelli in attesa di una verifica. Anziché tranquillizzare i correntisti, una mossa del genere innescherebbe il panico e una corsa agli sportelli. E un vaccine run, ovvero una corsa a non vaccinarsi, è ciò che si rischia dopo il caso AstraZeneca. Anche nel caso in cui giovedì l’Ema dovesse confermare, come è probabile, che non ci sono problemi di sicurezza, che non c’è un’incidenza superiore rispetto alla popolazione non vaccinata, che non è dimostrato un nesso di causa-effetto con i rarissimi eventi trombotici e che i benefici della vaccinazione superano notevolmente i rischi, è probabile che una buona parte della popolazione manterrà comunque un maggiore scetticismo nel vaccino. In ogni caso, secondo i dati di Palazzo Chigi, l’impatto di pochi giorni di sospensione sarà di 200 mila vaccinazioni in meno, che verranno recuperate in un paio di settimane.

 

L’altro paragone interessante tra la politica monetaria e vaccinale è la modalità attraverso cui è stata presa la decisione di sospendere AstraZeneca. Un po’ come accadeva prima della nascita dell’euro, quando le decisioni rilevanti di politica monetaria venivano prese dalla Bundesbank e le altre banche centrali erano costrette ad accodarsi, così l’effetto domino sulla policy vaccinale è scattato dopo la decisione del Paul Ehrlich Institut, l’agenzia tedesca per la sicurezza dei medicinali che ha evidenziato una possibile connessione tra le vaccinazioni e alcuni rari casi di trombosi venosa cerebrale. Anche in questo caso le decisioni rilevanti vengono prese in Germania, le cui istituzioni evidentemente godono di maggiore credibilità. La posizione dell’Italia, dopo la sospensione di uno specifico lotto per la segnalazione di alcuni eventi avversi, era che il vaccino era sicuro e “l’allarme non giustificato”: “Aifa rassicura fortemente i cittadini sulla sicurezza del vaccino AstraZeneca per una ottimale adesione alla campagna vaccinale in corso”. Neppure ventiquattro ore dopo questo comunicato stampa, e dopo che il presidente della nostra Agenzia del farmaco Giorgio Palù è andato in tv a rassicurare la popolazione sulla sicurezza del vaccino, la stessa Aifa vieta l’utilizzo di AstraZeneca senza fornire alcuna ulteriore spiegazione se non che “tale decisione è stata assunta in linea con analoghi provvedimenti adottati da altri paese europei”. Ancor più sconcertante è stato guardare, dopo l’annuncio del divieto, il direttore generale dell’Aifa Nicola Magrini affermare candidamente che “è stata una scelta di tipo politico”. Una dichiarazione di sottomissione al potere politico da parte dei vertici di un’autorità regolatoria che viene pronunciata senza alcun imbarazzo.

 

Evidentemente il presidente del Consiglio Mario Draghi non ha trovato di fronte a sé, in Aifa, personalità disposte a difendere l’autonomia e il prestigio della propria istituzione come lui nella Bce aveva fatto con Schäuble. Di fronte a pressioni politiche dichiarate per indirizzare una decisione del genere, i vertici dell’Aifa avrebbero dovuto dimettersi. In ogni caso, oltre alla credibilità del vaccino ci sarà da ripristinare anche quella dell’Aifa, che un giorno dice una cosa e il giorno dopo fa il contrario in base al volere del governo. Una forward guidance così poco credibile non ce l’ha neppure la Banca centrale del Venezuela.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali