I motivi dei ritardi di AstraZeneca e i rischi di una "guerra protezionistica" vaccinale

Giovanni Rodriquez

L'azienda ha ridotto le previsioni di fornitura all'Ue del vaccino contro il Covid nel primo trimestre a circa 30 milioni di dosi. Ma i problemi non sono più solo legati al primo trimestre, ma rischiano di prolungarsi anche al secondo

AstraZeneca ha ridotto le previsioni di fornitura all'Unione europea del vaccino contro il Covid nel primo trimestre a circa 30 milioni di dosi. Per l'Italia questo si traduce in un taglio di circa 900 mila dosi. In tutto le forniture di AstraZeneca attese entro il 31 marzo nel nostro paese dovrebbero dunque fermarsi intorno ai 4 milioni di dosi. 

     

Ma come si è arrivati a questa ennesima revisione delle forniture?

Per capirlo dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, fino a novembre 2020. A novembre l'azienda farmaceutica si è resa conto di come la capacità produttiva fosse inferiore rispetto alle previsioni. Durante il successivo mese di dicembre la produttività, ossia il numero di dosi per litro prodotte dai bireattori, non aumentava e il dato - confermato anche nel mese di gennaio - ha fatto scattare l'allarme. Da qui l’annuncio del primo taglio di forniture con un passaggio, per l'Italia, da 8 a 3,4 milioni di dosi attese nel primo trimestre.

AstraZeneca si è da subito impegnata a lavorare su due direzioni: da una parte aumentando il più possibile la produzione nel suo stabilimento europeo, e dall'altra garantendo importazioni da altri paesi, avendo 20 stabilimenti collocati in 15 diverse nazioni.

Grazie all'aiuto proveniente proprio dalla sua catena globale di produzione, AstraZeneca aveva potuto annunciare nelle scorse settimane un incremento delle forniture che, sempre per il primo trimestre, sarebbero passate per l'Italia da 3,4 milioni a 5 milioni, e nel secondo trimestre da 10 a 20 milioni. Su queste stime di fornitura, però, pesa in maniera importante l'import da paesi extra Ue. Per l'Italia, ad esempio, le forniture di 20 milioni annunciate dall'azienda nelle scorse settimane per il secondo trimestre proverranno per il 50 per cento da stabilimenti extra europei.

 

I problemi

E qui iniziano i problemi. Il processo produttivo nello stabilimento europeo in Belgio procede con un'andatura "zoppicante". E si iniziano a registrare ritardi di alcuni lotti. Questo anche perché, dal momento in cui la fiala è prodotta fino a quando questa viene messa in distribuzione passano in media dalle sei alle otto settimane. Questo il tempo richiesto per sottoporre i vaccini alle necessarie prove di qualità. Per intenderci, prima di essere distribuite queste fiale vengono sottoposte ad oltre cento test. Tutto questo comporta delle incertezze a livello di tempistica. Ci possono essere ritardi, così come anticipi. Lo scorso lunedì, ad esempio, AstraZeneca ha consegnato 648 mila dosi prima del previsto. Ma è sufficiente anche un piccolo ritardo nella fase dei test di sicurezza per far slittare le consegne programmate.

A tutto questo, poi, si sono aggiunte problematiche di natura geopolitica. Non solo gli Stati Uniti dove, come già sappiamo, vi sono difficoltà di export, ma dalla scorsa domenica anche l'India ha annunciato la volontà di privilegiare la propria popolazione mettendo un freno all'export dei vaccini prodotti sul suo territorio. Succede quindi che 9 milioni di dosi pronte a partire dall'India a marzo per raggiungere l'Europa resteranno bloccate sul suolo indiano.

I problemi quindi non sono più solo legati al primo trimestre, ma rischiano di prolungarsi anche al secondo. Al punto che AstraZeneca, anche in un colloquio con il commissario all'emergenza Covid Paolo Figluolo, per ora ha garantito le consegne solo dei 10 milioni previsti dal piano vaccini per il secondo trimestre. Parliamo quindi solo del quantitativo che verrà prodotto dall'azienda sul suolo europeo. Restano invece in forte dubbio i possibili approvvigionamento di ulteriori 10 milioni, destinati all'Italia, prodotti in Paesi extra Ue. 

Ricordiamo che la scorsa settimana era stato il governo italiano, con l'avallo dell'Europa, a bloccare l'export di una fornitura di 250 mila dosi del vaccino di AstraZeneca, infialate nello stabilimento di Anagni e destinate all'Australia. E come avevamo anticipato la scorsa settimana, il rischio che si sta sempre più concretizzando è quello di una "guerra protezionistica" vaccinale, con ripercussioni a livello globale e ritardi sulla tabella di marcia programmata per il raggiungimento di quell'obiettivo dell'immunità di comunità, previsto entro la fine dell'estate a livello Ue.

  

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