foglio salute
Le ore troppo brevi ma piene dei medici in tempo di Covid
Il libro di Raffaele Bruno, che a febbraio curò il paziente 1, Mattia Maestri
Raffaele Bruno è professore di Malattie infettive presso l’Università di Pavia e direttore della clinica di Malattie infettive della fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, ma per i più è il medico che ha gestito il ricovero del paziente 1, ovvero la prima persona a cui è stato diagnosticato il Covid in Italia, anche se probabilmente non la prima a contrarre l’infezione.
Gli echi di una malattia nuova e feroce che arrivavano dalla Cina si sono trasformati velocemente in rumori assordanti il 20 febbraio 2020, quando Raffaele Bruno ha preso in carico il paziente 1, che preferiamo cominciare a chiamare con il suo nome, Mattia Maestri, risultato quello stesso giorno positivo al Covid.
Quella data segna uno spartiacque nella vita del medico che, insieme al giornalista Fabio Vitale, racconta in un libro uscito per HarperCollins la sua esperienza, e lo fa senza cedere alla tentazione del sensazionalismo e del clamore preferendo, al contrario, un tono nobile e pacato.
“Un medico, la storia del dottore che ha curato il paziente 1”, è molto più di una cronaca dei fatti, è il pensiero intimo di un uomo consapevole di essere testimone di un cambiamento epocale, e che di questo cambiamento prova a farsi interprete.
Ciò che colpisce subito nella lettura è come il concetto del tempo, che l’uomo tende a piegare secondo i propri bisogni e a scandire in funzione degli impegni della giornata, per Raffaele Bruno sia cambiato improvvisamente. Era facile programmare la settimana tra il lavoro, la famiglia e la palestra. Era facile poter prospettare il futuro a breve termine con una certa dose di sicurezza. Era, per l’appunto, perché il Covid ha cambiato tutto, ha cambiato il tempo.
Le ore diventano spazi troppo brevi certe volte, per poter essere certi di riempirle nel modo giusto. Corrono a una velocità troppo sostenuta e inseguirle è una sfida continua che si gioca sulla pelle dei pazienti, e allora bisogna accelerare e cercare di batterle, di arrivare prima, di trovare le soluzioni utili. Mattia ha bisogno di aiuto, gli serve la scienza, ed è solo il primo di molti casi che faranno tornare i medici, almeno nella fase iniziale della pandemia quando il virus era un estraneo e non se ne conoscevano i confini, ai tempi dell’Ottocento, in un’epoca di incertezza che si pensava non potesse più tornare e che invece è tornata.
All’inizio il personale sanitario può solo monitorare i parametri vitali e utilizzare terapie di supporto, ma del Covid si sa poco, il tempo scorre ed è dura combatterlo. C’è l’aspetto clinico ovviamente, che è fondamentale perché direttamente collegato alla sopravvivenza delle persone, ma Bruno evidenzia bene anche l’importanza del contatto umano che, seppur da tempo ritenuto centrale nel rapporto medico-paziente, in una situazione come questa diventa ancora più importante. Le persone che stanno male sono spesso spaventate, e comunicare con loro non è solo un dovere ma un atto di compassione, di vicinanza. Farlo dentro tute e guanti che impediscono di sentire il contatto della pelle, e dietro mascherine e visiere che spesso costringono a dover urlare per farsi sentire, è però un’altra cosa.
Quello che si comunica e come lo si comunica, è un altro dei temi centrali del libro e forse uno di quelli di maggior impatto. Che si tratti di esporre il piano terapeutico a un paziente, o di dialogare coi suoi famigliari per aggiornarli sul decorso ospedaliero o per dar loro la peggiore delle notizie, il tono della voce è fondamentale, così come è fondamentale poter dedicare a ognuno il giusto tempo. Il tempo, ancora lui, che viaggia veloce ma che bisogna saper fermare quando interviene il bisogno di umanità. Non aver fretta in questi casi conta tanto, forse è tutto. Così come conta la scienza che ha lavorato e sta lavorando per offrire delle terapie adeguate e far sì che di questa epidemia si parli nei libri di storia come di un lungo e drammatico momento ma anche come un nuovo importante passo in avanti della medicina, e come la capacità di analizzare in maniera obiettiva le criticità.
Mattia è guarito, come tanti altri. Molti altri non ce l’hanno fatta, ma per ognuno di loro deve esserci la certezza che tutto il possibile sia stato fatto, e che sia stato fatto da persone e non da eroi, perché gli eroi compiono azioni straordinarie limitate nel tempo e i medici invece sono una certezza continua; in queste pagine se ne nominano tanti, e se ne esaltano le doti professionali che però, c’è da crederci, poco varrebbero se non fossero accompagnate dalla spinta comune di agire per il bene delle persone.