Foto LaPresse

cattivi scienziati

Siamo ciechi ed è troppo tardi per scrutare eventuali appiattimenti della curva

Enrico Bucci

La diminuzione della velocità di crescita delle curve epidemiologiche è un fatto ambiguo, che in assenza di dati statistici ben precisi (campione sentinella) può essere un segnale sia buono (il virus rallenta) sia cattivo (gli ospedali sono pieni)

In questo periodo ricevo molte domande circa il significato reale e la validità delle misure e dei numeri che sono giornalmente comunicati per quel che riguarda l’avanzamento dell’epidemia. Come già durante la prima ondata, tuttavia, questi numeri ormai significano ben poco. Chi, in particolare, vuole a tutti i costi trarre indicazioni dall’apparente rallentamento di alcune delle curve epidemiologiche nazionali dovrebbe stare più attento ai problemi di campionamento e ai bias che affliggono i dati attuali. In particolare, la diminuzione della velocità di crescita delle curve epidemiologiche è un fatto ambiguo, che in assenza di dati statistici ben precisi (campione sentinella) può essere un segnale sia buono (il virus rallenta) sia cattivo (gli ospedali sono pieni). Consideriamo quindi innanzitutto se siano già all’opera effetti saturativi, che possono piegare verso il basso le curve del monitoraggio.

 

Prendiamo ad esempio il Piemonte, la regione in cui risiedo. I tamponi si effettuano ormai soltanto ai sintomatici (quando va bene), il che rallenta la curva dei positivi. Anche il rapporto tra positivi e casi testati giornalmente, a questo punto, risulta deformato per gli stessi motivi. Anzi, ogni volta che cambia il mix con cui si seleziona chi sarà testato, per esempio abbandonando il tracciamento dei contatti di soggetti positivi e spostando il peso verso chi fa richiesta di tampone perché crede di essere positivo (in particolare chi si testa privatamente), si deforma la curva della percentuale di positività, perché per esempio un soggetto che è stato a contatto con un positivo ha molta più probabilità di essere positivo di uno che semplicemente ha paura di esserlo per convincimento personale.

 

A causa del riempimento degli ospedali, poi, i criteri per il ricovero si sono fatti più stringenti: si ricovera meno e più selettivamente, il che ovviamente diminuisce la pendenza anche di questa curva. Le terapie intensive sono piene, in tutta Italia e anche in Piemonte, dove oltre il 93 per cento dei posti letto aggiuntivi creati quest’anno erano già pieni al 4 novembre, come ci informa l’ottimo report dell’Università Cattolica.

 

Infine, Per quel che riguarda i morti, si tenga presente che nella prima ondata anche la registrazione dei decessi positivi al Covid-19 è saltata per le stesse ragioni per cui l’intero monitoraggio è andato a farsi benedire (in sostanza, i morti a casa, o comunque lontano dagli ospedali, non sono stati tutti registrati).
Questa è la situazione come appare dal Piemonte, ma in molte regioni italiane lo stato delle cose non è dissimile; dunque io direi che, in queste condizioni, è piuttosto inutile esercitarsi nello scrutare ipotetici rallentamenti, che potrebbero pure esserci, ma di certo se esistono sono concorrenti a effetti saturativi ben più gravi; ed è anche molto difficile utilizzare proiezioni delle curve attuali per sapere cosa succederà a breve, se non qualitativamente. O per stabilire quale misura di contenimento attuare su territori diversi. Siamo ciechi, senza un piccolo campione sentinella separato dal resto e costruito su base statistica, il cui rilevamento si continua inspiegabilmente a non organizzare.

Di più su questi argomenti: