Cattivi scienziati

Così il non senso burocratico ci impedirà di gestire la seconda ondata

Enrico Bucci

Tamponi fatti senza criterio, falle nel monitoraggio, quarantene illogiche. Storia in quattro atti del come e del perché la follia dei regolamenti ci porterà a nuove chiusure forzate

L’irresponsabilità individuale in Italia spesso si incontra con quella istituzionale, codificata in norme e percorsi burocratici che non solo non raggiungono lo scopo che si prefiggono, ma addirittura rischiano di peggiorare il problema che si propongono di affrontare. Scena prima: una classe come tante, in una scuola media di Milano. I bambini ascoltano attenti la lezione, rispettando con i loro insegnanti al meglio che possono le norme di questi tristi tempi di pandemia per evitare di diffondere il contagio. In classe c’è fra gli altri una bambina, figlia di una pediatra.

 

Scena seconda: si scopre che il fratello della bambina non solo è a casa con la febbre alta, ma la madre ha anche fatto effettuare il tampone a tutti i componenti della famiglia, eccetto la bambina. Lei l’ha mandata a scuola. Solo quando il test svela che padre e fratello maggiore della bambina sono positivi, la madre si decide ad avvisare la scuola e gli altri genitori. Con un particolare in più, non irrilevante: la madre è una pediatra. Un medico, che dovrebbe tutelare la salute dei bambini – compresi quei compagni di classe della figlia, ovviamente positiva, che ha invece esposto al rischio di contrarre il virus.

 

Scena terza: la Asl competente ordina la quarantena dell’intera classe. Non ordina però il test per la ricerca del virus: quello sarà effettuato solo alla fine della quarantena e solo sui compagni di classe della bambina positiva. Se, intanto, i genitori, i fratelli, i parenti dei compagni di classe andranno a lavorare, e se dovessero essere infetti, questo a quanto pare non interessa agli autori dell’ottuso regolamento regionale: che il virus si sparga pure, le carte – che prevedono la quarantena e il test in sola uscita dei soli “contatti primari” della bambina infetta – saranno a posto.

 

Anzi, quasi sicuramente risulteranno dei positivi in meno, rispetto a quelli che sarebbero risultati testando immediatamente tutti i compagni di classe e le loro famiglie, soprattutto se si sono verificati in classe eventi di superspreading. Il focolaio, se dovesse essersi acceso, invece di essere immediatamente circoscritto e contenuto viene lasciato libero di espandersi.

 

 

Scena quarta: nella famiglia di uno dei compagni di classe della bambina contagiata vi è pure un fratello, che era compagno di scuola di quel bambino con la febbre alta, che la mamma pediatra ha fatto testare mantenendo segreta la cosa fino alla scoperta del virus. Ma questo, a quanto pare, non interessa alla burocrazia regionale, né interessa il rischio che si abbiano ulteriori introduzioni di virus in ambiente scolastico.

 

In quella stessa famiglia, peraltro, vi è una mamma che ha sconfitto due volte il cancro e che deve sottoporsi, come ogni anno, ai necessari controlli a valle delle terapie a cui si sottopone. Se lei dovesse essere positiva potrebbe contagiare un ospedale, perché nessuno le richiede un test; e se invece in autonomia, effettuando un test, dovesse effettivamente risultare positiva, è probabile che il suo follow-up oncologico ne risentirebbe. Ma anche questo, evidentemente, non interessa a chi, a quanto pare, ha solo interesse a fare risultare certi numeri più piccoli possibile.

 

Ecco: anche se può sembrare impossibile, ogni singolo passaggio in questa storia è dolorosamente vero, ed è la perfetta e plastica spiegazione del perché e del come un virus, sfruttando la pazzia degli individui e la follia dei regolamenti, continuerà indisturbato a ripresentarsi a ondate periodiche nel nostro paese, fino a che non riusciremo a difenderci in maniera più intelligente di così.

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