(foto Ansa)

cattivi scienziati

Vaccinarsi, piuttosto che infettarsi, è il modo migliore per difendersi dal Covid

Enrico Bucci

Gli ultimi dati disponibili dimostrano che arrivare a una profilassi efficace è possibile

Molte volte, nel commentare il fatto che gli anticorpi circolanti contro Sars-CoV-2 decadono rapidamente, ho detto che, a prescindere da questo, un vaccino (o la risposta immune naturale) potrebbe comunque funzionare grazie al fatto che alcune cellule specializzate del sistema immunitario – quelle della memoria – potrebbero comunque accelerare di molto la risposta a una eventuale re-infezione. Fra queste cellule, le evidenze finora più robuste riguardavano la formazione della memoria di tipo T, ovvero la presenza – dopo il vaccino o prima dell’infezione – di cellule in grado di riconoscere e uccidere rapidamente quelle infette. Memoria di tipo T che, per giunta, è risultata essere condivisa fra coronavirus diversi, per cui alcuni individui mai esposti a Sars-CoV-2 risultavano comunque mostrare una risposta di tipo T molto precoce, perché la loro memoria T era stata già indotta da coronavirus umani diversi (alcuni di quelli che causano il raffreddore).

 

Adesso, un articolo pubblicato su mBio, giornale della società americana di microbiologia, aggiunge il pezzo che mancava: dopo esposizione al virus o a un candidato vaccino, si forma anche la memoria di tipo B. In altre parole, dopo avere incontrato per la prima volta Sars-CoV-2 oppure i “pezzetti” di questo che sono contenuti in un vaccino, il nostro sistema immunitario sviluppa alcune cellule a vita lunga in grado di riconoscere immediatamente una reinfezione, producendo fin da subito gli anticorpi necessari, in modo pronto ed efficiente. Non solo: le cellule di memoria che si formano sono in grado di produrre anticorpi proprio contro il dominio della proteina spike che serve a riconoscere le cellule umane (il famoso domino Rbd), oltre che le parti più conservate della proteina stessa; ciò indica sia che queste cellule sono in grado di produrre anticorpi neutralizzanti (perché quelli che legano il domino Rbd sono proprio quelli in grado di impedire l’infezione), sia anticorpi per parti della proteina spike che sono poco mutate da un coronavirus a un altro. Questi ultimi anticorpi, come era logico attendersi, sono risultati secreti anche da cellule di memoria B in soggetti mai esposti a Sars-CoV-2, proprio perché le proteine spike si assomigliano tutte; quelli contro il dominio Rbd, specifico solo dell’ultimo e più recente coronavirus, invece, non sono formati da cellule di memoria B preesistenti all’infezione. In sostanza, ne emerge un quadro in cui è possibile una risposta anticorpale contro il nuovo coronavirus da parte di cellule di memoria anche in soggetti mai esposti, purché esposti in precedenza ad altri coronavirus; ma per avere la risposta neutralizzante più efficiente bisogna che gli individui siano esposti a Sars-CoV-2 o a un candidato vaccino contenente il domino Rbd della proteina spike. Questo ultimo elemento ci dice come la protezione dovuta a precedenti infezioni da altri coronavirus esiste, ma dal punto di vista della risposta anticorpale non ha quella specificità necessaria né è paragonabile a quella che si svilupperebbe dopo un vaccino; vaccino che, a questo punto, possiamo sperare funzioni in maniera decente, vista l’induzione di cellule della memoria anticorpale, anche se gli anticorpi circolanti diminuiscono dopo qualche mese. Si tratta di un tassello importante, uno studio che speriamo possa essere confermato da ulteriori osservazioni; intanto, si può dire che, almeno in questo caso, i dati che osserviamo sono promettenti e rafforzano la speranza di arrivare a profilassi efficaci.

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