foto LaPresse

La mascherina ci salva

Giulia Pompili

Gli anti-mask sono ufficialmente come gli anti-vaccinisti: nei paesi dove si usa il virus è molto meno mortale

Roma. A cinque mesi dall’inizio della pandemia sembra superfluo ripeterlo, ma in attesa del vaccino per proteggersi dal Covid esiste già qualcosa: la mascherina. Nonostante il ritardo con cui abbiamo riconosciuto che questo nuovo coronavirus si trasmetteva per via aerea da uomo a uomo, e le altalenanti indicazioni dell’Oms, oggi sappiamo che la mascherina funziona davvero come la cintura di sicurezza: in caso d’incidente, quasi sempre salva la vita. Non solo ha una finalità collettiva (la metto per evitare di contagiare gli altri), ma anche personale. Uno studio della Miyazawa Clinic della prefettura di Hyogo, in Giappone, in collaborazione con l’Università di Houston-Victoria, in Texas, dimostra infatti che la mascherina limita così tanto l’esposizione al virus da renderlo meno mortale. Gli scienziati giapponesi hanno messo a punto un sistema per determinare l’influenza di vari fattori sull’indice di mortalità del Covid nei vari paesi. L’articolo è stato pubblicato un paio di giorni fa sul sito prestampa Medrxiv, e quindi deve ancora essere sottoposto alla revisione paritaria, ma ha suscitato molto interesse perché dà concretezza scientifica a qualcosa che finora abbiamo solo usato in modo cautelativo. I dati, elaborati attraverso una serie di sondaggi YouGov, dimostrano che nei paesi dove la mascherina viene indossata dal 90 per cento dei cittadini – quasi sempre paesi asiatici – il Covid è per il 70 per cento meno mortale. E che circa l’80 per cento delle morti nel mondo a giugno potrebbero essere collegate alla riluttanza che abbiamo avuto intorno a marzo a indossare la mascherina in pubblico. Già all’inizio di aprile due scienziati, Joshua D. Rabinowitz e Caroline R. Bartman, scrivevano sul New York Times che il nuovo coronavirus funziona più o meno come un veleno.

  

Se si viene a contatto con una quantità lieve, allora più lieve sarà la sua virulenza e gli effetti sul corpo. Al contrario, se la quantità in cui ci si imbatte dovesse essere considerevole, è più facile che il virus produca una polmonite interstiziale bilaterale. La mascherina è il nostro schermo tra le grandi quantità e le piccole quantità. Attraverso modelli predittivi come quello elaborato in Giappone, ha spiegato uno dei ricercatori, Daisuke Miyazawa, si possono portare a termine interventi efficaci paese per paese. In Asia le persone muoiono di meno perché l’uso della mascherina è un’abitudine, anche prima del Covid. In Cina la mascherina è diventata obbligatoria subito dopo l’inizio dell’epidemia. Ma esistono persone che hanno difficoltà a indossare la mascherina per ragioni respiratorie (i ricercatori fanno l’esempio dell’obesità) e quindi sono più esposte al rischio. Va cercata una soluzione adatta anche per loro.

 

Rispetto alle pandemie del passato, questa volta l’essere umano ha un superpotere in più: la tecnologia. Non ci sono soltanto i big data e i super computer che ci aiutano a capire e prevedere il virus. Non c’è solo la corsa al vaccino. Anche sui dispositivi la tecnologia sta andando avanti, e proprio in Giappone c’è stata una gara, nelle ultime settimane, per mettere a punto protezioni efficaci, filtranti e riutilizzabili. Quando parliamo di mascherine infatti non parliamo mai delle bandane sul volto – il tessuto di cotone, per esempio, sortisce un effetto minimo. Parliamo di mascherine chirurgiche, con un vero effetto filtrante sull’aerosol, e non solo sul droplet (le famose goccioline). Vista la domanda crescente, la tecnologia sta cercando (e trovando) sempre più soluzioni: diverse università giapponesi stanno collaborando con aziende di articoli sportivi – quelle che hanno a disposizione più facilmente materiali e tessuti supertech – per inventare mascherine lavabili e ultrafiltranti. E magari che possano essere utilizzate anche durante il caldo torrido dell’estate giapponese (un migliaio di morti l’anno per infarto). Se dobbiamo imparare a convivere con naso e bocca coperti, inventare la mascherina raffreddante è l’obiettivo di tutte le grandi aziende giapponesi in questo periodo, ed è una corsa contro il tempo. L’azienda di abbigliamento Uniqlo è quella che finora si è avvicinata di più: la scorsa settimana fuori dai negozi di Tokyo c’erano ore di attesa per accaparrarsi il pacco da tre delle nuove mascherine ultraleggere e lavabili. Nel frattempo, un’azienda di distributori di bibite ghiacciate ha usato la soluzione più semplice: vende le mascherine chirurgiche direttamente nelle macchinette, a meno quattro gradi. Anche quelle sono quasi sempre sold out.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.