divergenze parallele

Sistema sanitario pronto? La doppia intervista Signorelli-Cartabellotta

Lorenzo Borga

La sanità sarà in grado di prevenire la diffusione dell’epidemia ed evitare gli errori commessi negli ultimi mesi qualora ci fosse una seconda ondata di contagi? Ne discutono il presidente della Fondazione Gimbe e il professore dell’Università San Raffaele di Milano

Questa è “Divergenze Parallele”, la rubrica curata da Lorenzo Borga. Ogni settimana ospitiamo due opinioni opposte, ma informate, su un tema chiave per capire la quotidianità. Perché – fuori dal mondo dei talk show e dei social – sugli argomenti di scontro si possono confrontare ragioni diverse, legittime e immuni da bufale. 

 


 

È tutto un gran parlare della possibile seconda ondata di contagio in autunno. Meno spazio si dedica invece alla capacità del sistema sanitario nazionale italiano di affrontarla, sebbene vi siano stati riservati ingenti investimenti economici, almeno sulla carta. Gli ospedali e le strutture sul territorio saranno in grado di prevenire la diffusione dell’epidemia ed evitare gli errori commessi negli ultimi mesi? Ne discutono, a distanza, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, e Carlo Signorelli, professore di sanità pubblica all’Università San Raffaele di Milano.

 

1) Il rischio di una nuova ondata di contagi e focolai con l’autunno e l’inverno è concreto?

Signorelli - Molte malattie infettive a trasmissione aerea hanno una dimostrata stagionalità. Per cui bisogna tenere alta l’attenzione e mettere in atto tutte le misure di prevenzione individuale e collettiva, inclusa la sorveglianza epidemiologica.

 

Cartabellotta - Esiste, ma è impossibile stimarne entità e tempistiche perché dipende dall’interazione di fattori non sempre prevedibili. Inoltre, il rischio aumenta se vengono diffusi messaggi fuorvianti sulla minore aggressività del virus e cala il silenzio su assembramenti ancora vietati. Ma la vera preoccupazione è che manca una strategia: l’attività di testing, tracing e treating è molto variabile tra le regioni, la comunicazione istituzionale si è ridotta all’osso in un momento in cui andava rafforzata e le riaperture di ieri, confini internazionali inclusi, sono state decise sulla base dei dati relativi al 10-17 maggio. Ovvero, se la strategia è quella attendista, è giusto informare i cittadini: monitoriamo solo ospedali e terapie intensive e smettiamola di fare tamponi. L’attività di testing non sistematica e massiccia alla ricerca di casi asintomatici e al tracciamento dei loro contatti serve a poco.

 

2) Il “decreto Rilancio” ha finanziato l’incremento di 3.500 posti stabili in terapia intensiva e l’assunzione di 9mila infermieri, basteranno?

Signorelli - Generalmente le seconde ondate sono inferiori alle prime, come accaduto anche per COVID-19 in Cina. Il nuovo piano delle terapie intensive è un documento articolato che deve tenere conto di diversi fattori, tra cui personale opportunamente formato e contesti strutturali adeguati. Nessuno vorrebbe vedere terapie intensive non utilizzate, ma nello stesso tempo ci deve essere un piano articolato per aumentarle in tempi brevissimi in tutte le regioni, in caso di emergenze.

 

Cartabellotta - Dipende dall’entità dell’eventuale seconda ondata, che tutti ci auguriamo non si verifichi. In ogni caso, l’assunzione degli infermieri sicuramente va a coprire un “buco” importante del nostro Servizio Sanitario Nazionale, visto che tra i paesi Ocse siamo fanalino di coda nel rapporto infermieri/medici. I posti in terapia intensiva, superata l’emergenza, dovrebbero potere invece essere riconvertiti.

 

3) C’è chi si dice preoccupato dai tempi della burocrazia per rendere realtà questi stanziamenti, così come per l’adeguamento dei pronto soccorso con la creazione stabile di percorsi separati per pazienti Covid e gli altri. È una preoccupazione che condivide?

 

Signorelli - In molte regioni del nord la creazione di percorsi separati è stata fatta in pochi giorni durante la prima fase dell'epidemia. L'operazione è notevolmente più difficile in ospedali di piccole dimensioni, più numerosi nelle regioni del centro-sud.

  

Cartabellotta - Sì, ma il risultato finale dipende anche alla “leale collaborazione” tra Governo e regioni, a cui la nostra Costituzione affida la tutela della salute. Ovvero, se oltre a mettere i soldi sul piatto, il Governo ha sempre minori capacità di indirizzo e verifica sulle regioni la loro autonomia prende il sopravvento nel bene e nel male. E questo finisce per generare enormi diseguaglianze sia nella qualità dei servizi, sia in termini di salute.

 

4) L’app Immuni è finalmente scaricabile sugli smartphone. Il suo contributo sarà essenziale per prevenire una nuova forte ondata in autunno?

Signorelli - Se usata su larga scala sì, se la scaricheranno in pochi rischia di non raggiungere gli scopi prefissati. Per questo la si sta sperimentando in alcune regioni. L'incognita è quanto sarà usata dalla popolazione anziana.

 

Cartabellotta - Se le regioni hanno preso la strada di fare sempre meno tamponi diagnostici, rimarrà una scatola vuota. Ovvero, al di là di quanti cittadini sceglieranno di utilizzarla, è una tecnologia “tampone-dipendente”.

 

5) Un grande punto debole del sistema sanitario, soprattutto in alcune regioni, è stata la fragilità della sanità di territorio. Per i prossimi mesi abbiamo imparato la lezione?

Signorelli - Su questo bisogna lavorare con grande attenzione cominciando da organici adeguati, integrazione ospedale-territorio, coordinamento con la medicina di famiglia, gestione delle cronicità e identificazione della gestione delle emergenze. Magari identificando nel direttore del dipartimento di prevenzione il “chief medical officer” locale che prenda le decisioni in caso di emergenze sanitarie locali. In questo senso sta lavorando un tavolo di esperti di Regione Lombardia recentemente istituito.

 

Cartabellotta - Solo a parole purtroppo. Serve un profondo ripensamento, con il pieno accordo delle parti politiche e professionali, ordini e sindacati in primis: i modelli organizzativi dell’assistenza territoriale non sono più compatibili con gli attuali contratti e convenzioni. Le cure primarie del futuro devono garantire un’assistenza di qualità attraverso una variabile articolazione di setting per intensità di cura: dalle cure intermedie all’assistenza domiciliare, dalla prevenzione alla riabilitazione sino alle cure palliative. Se manca la vision sulla riorganizzazione integrata tra ospedale e territorio attraverso innovazioni tecnologiche e digitali che influenzano anche il fabbisogno di personale, stiamo parlando solo di provare a “cambiare tutto affinché nulla cambi”.