
(foto di Artem Labunsky su Unsplash)
roma capoccia
Roma notturna, tra i fantasmi dell'Oba Oba e i parcheggi del desiderio
La capitale tra sexy shop, bar e piazzole: la pornografia e la solitudine digitale riscrivono i rituali e i limiti della trasgressione. Tra desideri e regole, si cerca identità in una città invisibile
La pornografia è quel che accade quando si smette di farsi domande e si inizia a percorrere la topografia del nulla. A via dei Mille, non troppo distante dalla sede del Consiglio Superiore della Magistratura, se ne svettava il sex shop Oba Oba, dentro cui si davano convegno i degenerati di Roma attratti da infinite possibilità. Tutti abitanti condannati delle proprie ossessioni, tutti alla ricerca di un’estasi confessionale, nel riconoscersi come appartenenti alla stessa tribù. Tra le gigantografie, le riviste e le vhs, faceva bella mostra una mappa, un dazebao convegnistico di annunci cartacei e post-it per fugaci incontri notturni. Ora, in questo tempo post-storico che ha desertificato quella terra di croci e sperma, non resta che la meccanica reiterazione del tutto e subito, il clic standard del digitale che ti serve pasti caldi di incontri e pornografia. Resta qualcosa. Il senso del reale. Quei parcheggi, quelle strade, quei rituali codificati nell’eterno ritorno del libertinaggio. Non solo parcheggi o radure verdeggianti cinte da campi nomadi e pompe di benzina, Jean Genet al Casilino, ma anche bar, bar normalissimi, dell’Esquilino, verso Porta Maggiore, dove tu sbocconcelli un tramezzino e attorno noti, con la coda dell’occhio, strette di mano e prossemica porno e segni di riconoscimento di coppie mature che si sono date convegno o che, al contrario, sono alla ricerca. C’è questa Roma, che nessuno vuole vedere ma che molti vivono e popolano spettralmente in un limbo dentro cui la parola trasgressione diventa più enfatica di un Roberto Benigni che legge la Costituzione.
Di notte, tutte le strade a Roma somigliano alla disperazione dell’Oba Oba. La mancanza di alternative, non la trasgressione, ha dipinto ragionerie stradali di furtivi orgasmi da piazzola, in scenari post-industriali, con sospiri, gemiti, il frusciare delle frasche al vento e i lampeggianti blu della sicurezza percepita. Il decoro si esaurisce in sabbiolina infangata, tra graffiti e mozziconi spezzati di bottiglie di vino. La poesia, una poesia di carne e desolazione, si è inabissata negli annunci online, serigrafia blesa di una libido resa circolare amministrativa, pretenziose presentazioni con fotografia ministeriale a pancia in dentro. Cercare le risposte in quelle conformazioni di carne, carne in video, in quella falsa e civettuola trasgressione costruita con oculata e merceologica attitudine su strada, lungo i giardini pubblici o nei bagni degli autogrill, in cui tutti sorridono, per quanto atroci le cose possano apparire, una reiterazione di solitudini abbattute come maiali in un macello, in quelle urla, in quel sangue, in quello strazio. La pornografia non ha risposte. Quando alle spalle del Laghetto dell’Eur o alle pendici del Fungo, teatro cinematografico di anni di piombo e romanzi criminali, coppie giunte da lontano, persino dal frusinate, si inebriano della presenza del digitale, siti, recensioni, incontri pre-ordinati come fossero prenotazioni al Cup regionale, GoogleMaps e porno-geolocalizzazione, e il brivido di essersi infilate il reggicalze per i motivi sbagliati e per dover poi tornarsene a casa, a bocca asciutta, capisci che le regole non sono state poste per essere trasgredite ma perché gli italiani persino quando trasgrediscono hanno bisogno di regole. I fari. Baluginio elettrico. Codice Morse libertino. Le prostitute, che giocano un altro campionato e se ne camminano sotto i fari e davanti i portoncini delle case. A ciascuno il suo. Qualche sorriso, ma non è complicità, è solo rimarcata alterità, come i giocatori di serie A che danno una silente pacca sulla spalla ai loro omologhi dei campi in terra battuta e tutti a dire oh ma quanto sono umani e sportivi e vicini ai loro colleghi ma quello è solo sfoggio di paterna superiorità, come il dono nella cultura tribale sondata da Marcel Mauss. Il Parco di Monte Mario, le luci su Roma. Villa Borghese, il frinire dei grilli e lo slancio delle zip. Casilina esterna, fuori dal Gra, gloryhole da codice della strada. Centri commerciali e parcheggi notturni, Fast & Furious a scuola da Rocco Siffredi. Villa Pamphili, le lucine tascabili per riconoscersi e poi perdersi nelle loro case. Le Terme di Caracalla e l’Ardeatina. Camion, taxi persino. Automobili di ogni grandezza e costo. Convergono, sciamano, scrutano, fiatano, attendono segni, tra le ombre, segni che possano rivelarli per ciò che davvero sono.