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ROMA CAPOCCIA
Cronache dal battuage. Ricordi e rovine dell'eros clandestino
Monte Caprino è stata per lunghissimo tempo luogo di pazza e scarmigliata gioia del sesso casuale, promiscuo, privo quasi di volti e di senso. Fino all'arrivo di un sigillo da parte della polizia: chiusura di un’epoca, estinzione di un mondo
“La notte spesso salivamo mano nella mano su per Monte Caprino. Eravamo circondati dai rumori amati: mugolii, zip che scendevano e salivano, ginocchia che toccavano le foglie secche”, così Luca Guadagnino e Carlo Antonelli hanno voluto ricordare lo scrittore statunitense Edmund White, nume tutelare delle lettere volte all’esplorazione, anche e non solo, dei piaceri omosessuali. Monte Caprino, collinetta digradante e degradante dalla pendice del Campidoglio, irta di frasche, alberelli e rovine tufacee, è stata per lunghissimo tempo alcova open air e tempio del cruising o, per usare il lemma pseudo-francese in voga presso la comunità omosex, del battuage. Da non confondersi con i pasoliniani “ragazzi di vita”, i marchettari, quelli che insomma si vendono a pagamento, anche se sovente la popolazione e gli stili e le richieste tendono a confondersi e sovrapporsi, il cruising è stato per lungo tempo considerato una parte essenziale di riconoscimento e di socializzazione di persone la cui identità sessuale era occultata, nascosta o peggio ancora criminalizzata.
In quella pazza e scarmigliata gioia del sesso casuale, promiscuo, privo quasi di volti, di occhi, di senso, in quegli slabbramenti furtivi, albergava, si pensava, si diceva, un intenso riconoscersi: non stupisce quindi che Guadagnino e Antonelli abbiano voluto rievocare tra tutte le esperienze, tra tutti i luoghi, proprio Monte Caprino. E se “riconoscersi” può apparire eccessivo all’occhio del lettore, si pensi che quando il decoro sotto forma di provvedimento amministrativo pose una cancellata lungo lo scosceso pendio della montagnola a decretare l’estinzione notturna di quel parco giochi di carne e giochi furiosi, alti si levarono in cielo i pianti luttuosi degli omosessuali più avvezzi, e ancora oggi di quel canto funebre se ne trova traccia nei meandri della Rete. Monte Caprino, per quanto non del tutto estinto, si è fatto ormai presenza diurna, che vede al contempo allibiti turisti inerpicarsi lungo le scalinate e giocatori da cespuglio con la zip divelta, in uno scambio delle parti piuttosto curioso e divertente, non fosse per i kleenex sporchi, i preservativi, le palline di droga inscatolata perché si sa che ogni mercato della trasgressione standardizzata, Vaneigem perdonaci, si porta dietro tutto l’armamentario possibile.
Siamo lontani dal saturnino e feroce “Cruising” di William Friedkin con un giovane e convincente Al Pacino, talmente convincente da aver ripudiato quel mefitico film. Ma la città del cruising va diradandosi, come tetra necropoli: di questo arcobaleno di tenebra e fluidi corporei e disperazione e mani protese nell’abisso rimane un corpo esangue, digitalizzato, desertificato dalle app di dating e dai pericoli e dalla normalizzazione del feticismo dei diritti per cui diventa sconveniente gingillarsi con un abisso dentro cui danzano un monaco, un macellaio e malattie sessualmente trasmissibili. Paradiso cenobita che fu già di Dario Bellezza, “cerco amori nuovi, violente sere/ Perdono chiedo a chi non amai. Forse verrò domani ad un prato/ verde, – e non sarò più solo” e ancora l’apologia notturna ed erotica de “I giovani padri”, nella ricerca di etero curiosi, o confusi, o padri disperati che mollate le stanche famiglie al rito televisivo, si disperdevano per i fumi bizantini delle saune o per i lucernari attorno la Stazione Termini o per i parcheggi fuori Roma o nei bagni degli Autogrill lungo il Raccordo. E per certi desolanti scantinati parimenti fumosi in cui al cuoio e al metallo e alle luci vorticanti, carnicine, si sovrapponevano orizzonti da dipinto di Goya, filtrato dalla sensibilità del Gaspar Noé di “Irréversible”, la discesa infernale nel ventre del “Rectum”, e attorno Termini ve ne erano di “Rectum”, quasi invisibili, defilati, muraglie di acciaio nero e campanelli gravi da suonare solo se ben convinti. E lungo la dorsale erosa della Prenestina, per luoghi davvero pasoliniani fuor di metafora, nel punto di intersezione psico-geologica tra Pigneto e Labicano, sorgeva “Il degrado”, nomen omen, spazio in cui a Pierre Guyotat e alla sabbia d’Algeria, a Peter Sotos e a “Lazy”, si sostituivano sagome furtive: venne chiuso da una discutibile operazione di polizia nel 2007, grosso modo in anni non troppo distanti dalla apposizione della cancellata per sigillare Monte Caprino. Chiusura di un’epoca, estinzione di un mondo.