Roma Capoccia
Qualcuno ci salvi dalla retorica di Roma “città più bella del mondo”
La capitale che strepita contro affitti brevi, proprietari di casa avidi e insensibili, ha poi da offrire alla stampa estera solo e soltanto l’idea che sia un museo a cielo aperto, da visitare in modalità mordi e fuggi
Le città, come le Costituzioni, non dovrebbero semplicemente essere belle. Dovrebbero, in realtà, essere funzionali e al passo coi tempi, adeguate alle sfide sempre più complesse e articolate del contingente, parametrate queste a un unico criterio di base, la vivibilità. Roma è stata ombelicalmente vittima del suo stesso fascino, della sua storia, del suo mito, delle sue rovine e delle sue chiese, delle sue bellezze passate di secolo in secolo, con giusto qualche crepa e qualche ruga in più. Trasformata in un parco giochi inerte, museale, in una necropoli chiusa in sé stessa, in beata contemplazione, invasa da turisti sciamanti e vocianti. Salvo poi, dopo aver nutrito e coltivato la retorica della città che potrebbe beatamente e riccamente vivere di solo turismo, coi cittadini in panciolle a suonare il mandolino e a girare il sugo caldo sui fornelli, iniziare a lamentarsi del turismo di massa, celato dietro il patetico anglismo sociologico che si conosce come overtourism.
Sono troppi, fanno casino, strepitano, sporcano, insozzano, luridano, e, udite udite, non portano poi così tanti soldi. Ma come, il turismo non era il nuovo petrolio, la nostra Silicon Valley pezzente sul cui altare sacrificare innovazione, intrapresa commerciale, lenire i dolori della sistematica chiusura di aziende, trasmigrate e trasvolate alla volta di Milano o di altre città? E mentre la cronaca ci restituisce su base giornaliera un caos, micro o macro, intessuto di scippi, furti, ordinario disagio, lamentele, servizi non funzionanti, trasporto pubblico caracollante, cantieri divenuti parte integrante del paesaggio urbano, degrado sempre più invasivo, occupazioni di immobili, cornicioni frantumati, sporcizia, strade-groviera, ci giunge l’ennesima immaginifica classifica dalla quale emerge, squilli di tromba, che Roma è per l’anno di grazia 2024 tra le 10 migliori città del mondo. Si tratta della classifica stilata da Resonance Consultancy, agenzia di consulenze che compone il listone delle “best cities”, ovviamente in inglese, è in questione il brand reputazionale delle città, anzi delle cities, tra cui Roma, Rome (all’inglese e alla francese), Rom; e quale mai sarà il criterio posto a fondamento di cotanto successo, ma ovvio, ma chiaro, sempre la attrattività turistica. E torniamo, dolenti, al punto esatto di partenza. La città che strepita, per tramite di amministrazione e comitati, contro affitti brevi, proprietari di casa avidi e insensibili, ha poi da offrire al mondo solo e soltanto l’idea che Roma sia un museo a cielo aperto, da visitare sovente in modalità mordi e fuggi.
E questo irrisolto dualismo, di una città statica e sotto teca, in cui il rigoglio di caos, sporcizia, crimine, spesso sopravanza l’estasi propiziata dalla bellezza di sculture, dipinti, parchi urbani, chiese, antiche rovine, inizia ormai a superare il livello di guardia, tanto che la stampa straniera se da un lato continua a indicare la Città Eterna come una meta da visitare almeno una volta nella vita, dall’altro si stupisce e si affligge per quanto infernalmente lercia e insicura essa sia. Il Daily Express ad agosto scorso ci era andato giù pesante, descrivendo la città come un suk oleoso, colmo di insidie e pericoli, e d’altronde basta ormai una rapida occhiata a YouTube e ai video di Cicalone che, tradotti in inglese, sono divenuti sempre più popolari anche tra i turisti stranieri, per comprendere come i turisti continuino sì ad arrivare ma sempre più guardinghi e con meno soldi da spendere.
Più di recente è stata la volta del The Telegraph che ci è andato giù ancora più pesante, descrivendo la città come non semplicemente deludente ma addirittura del tutto disastrosa. Pochissimi giorni prima il discutibile spettacolo lunare del rifacimento della Fontana di Trevi era finito agli onori del pubblico americano, con un feroce articolo del New York Post. Ovviamente potremmo gridare convenientemente al complotto anti-romano e anti-italiano, al sensazionalismo spicciolo, ma chiunque viva e subisca sulla propria pelle lo scorrere malmostoso della vita in questa città sa perfettamente che Roma è ormai caos allo stato puro. E se iniziano a accorgersene pure giornalisti stranieri e turisti, è davvero la fine.
Dopo il concorso, il nulla?