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Roma Capoccia

Benedetta Malagrotta. Quando la discarica non era la città

Chicco Testa

Le discariche non sono belle, ma sono servite per decenni a Roma e in Italia per liberarci dai nostri rifiuti. Una storia

Erano le 8 di sera della antivigilia di Natale del 1980 quando il sindaco Luigi Petroselli, accompagnato da Ugo Vetere, assessore al Bilancio, che gli succederà  come sindaco, dopo l’infarto che stroncò Petroselli durante i lavori del Comitato centrale del Pci il 7 ottobre 1981, incontra Manlio Cerroni, già attivo nel trattamento dei rifiuti di Roma. La riunione come è facile desumere dal giorno e dall’ora è urgente. Roma tanto per cambiare è sull’orlo di un’emergenza rifiuti. I mezzi che li raccolgono non sanno dove scaricarli e sono costretti  a servirsi di alcune cave abusive ormai abbandonate. Solo un anno prima sulla spinta delle forze di sinistra che avevano conquistato il Campidoglio con Carlo Argan, famoso storico dell’arte, gli impianti privati erano  stati rilevati da una società pubblica del comune di Roma. E naturalmente erano entrati subito in sofferenza per l’incapacità tecnica a gestirli. Erano impianti allora molto avanzati dal punto di vista tecnologico. Ben prima dell’avvio delle raccolte differenziate erano in grado di separare l’indifferenziato in varie categorie merceologiche, avviandone  alcune al riciclaggio. Sembrerà incredibile ma quegli impianti, realizzati da privati, finirono sul New York Times, in un articolo di Barry Commoner, allora guru dell’ambientalismo mondiale con il suo libro “Il cerchio da chiudere” che fu tradotto in più di 30 lingue e pure sui depliant della Cook, agenzia turistica internazionale, che li inserì fra i suoi tour romani.

Ma torniamo all’incontro fra il sindaco e l’ avvocato Cerroni. Petroselli, sindaco carismatico, nonostante la stampa si ostinasse a descriverlo come un oscuro funzionario di partito, uomo di poche parole e poco diplomatico, capace di mettersi contro il suo stesso partito, se necessario, riconosce il fallimento dell’iniziativa pubblica e chiede una mano a Cerroni “perché i romani non potevano trascorrere Natale in mezzo ai rifiuti”. Soluzione trovata alla bell’e meglio utilizzando altre cave presenti nel territorio.

Ma nel frattempo si comincia a lavorare per una soluzione stabile che viene individuata nell’area di Malagrotta. Che si prestava per varie ragioni. Era già  utilizzata del comune di Roma per lo smaltimento dei residui di lavorazione del centro carni, era situata in un’area agricola e vicina all’area dell’ex raffineria di Roma. Inoltre tutta l’area appare degradata da proliferare di cave abbandonate , discariche e attività varie prevalentemente abusive. Viene costituita la società Colari, di cui viene invitato a fare parte  anche il Comune di Roma, che opportunamente declina. Sindaco era Ugo Vetere, esponente del Pci. Che i conti li sapeva fare.

Facciamo un salto ai giorni nostri. In questi giorni il comune e la regione hanno annunciato la gara per la chiusura definitiva di Malagrotta, anzi per la bonifica. Attenzione ai termini perché sono molto importanti come vedremo. Avrebbero dovuto, come si fa con tutti i cari estinti, accompagnare l’annuncio con le lodi e i ringraziamenti per quanto Malagrotta ha fatto per la città di Roma nell’arco di più di 30 anni. Ma nel frattempo Malagrotta, grazie a un serie di vicende senza senso, accuse da parte della Magistratura, alcune già rivelatesi infondate,  leggende metropolitane e ignoranza della classi dirigenti è diventata un oggetto da esecrare. Sempre accompagnato da aggettivi infamanti. L’ultimo, messo anche nel comunicato ufficiale , quello per cui Malagrotta sarebbe stata una discarica  “abusiva”. Abusiva una discarica in cui il  comune di Roma e quasi tutto il  Lazio hanno per decenni portato i loro rifiuti? Che ancora nel 2011  viene ampliata di ben 1.280.000 mc, su ordinanza del prefetto Pecoraro, nominato commissario,  per fare fronte all’ennesima emergenza? Con pubblici ringraziamenti  del prefetto alla società.  Qualcuno le ha contate e sono ben 36 le autorizzazioni rilasciate a Malagrotta. E infatti la parola abusiva è stata ritirata, dopo una diffida, ma è un sintomo molto chiaro dell’incultura di chi se ne occupa e dell’approccio ideologico con cui si affronta la questione. Spiace che ci sia cascato anche il Sindaco di Roma. Torniamo adesso a quegli anni.

Malagrotta nasce ufficialmente nel 1984 e fino alla chiusura decretata da Marino svolge la sua opera, servendo Roma e il Lazio a prezzi competitivi. Se si confrontano le tariffe applicate dalla gestione privata di Malagrotta con quelle per esempio della discarica pubblica di Genova risultano in 30 anni risparmi per Roma e il Lazio pari a 2 miliardi di euro.  Inoltre è una delle poche discariche che, su spinta del pretore Amendola, uno dei primi magistrati impegnati sulle questioni ambientali, ha realizzato un “polder”, vale a dire una cintura protettiva che circonda tutta la discarica per 6 km di perimetro, affondando nelle argille fino a 50 metri di profondità. Polder che oggi si vuole rifare nonostante varie perizie sia della facoltà di Ingegneria di Roma sia dell’Ispra nazionale, organo tecnico del Ministero dell’ambiente, ne abbiano certificato la tenuta. Ma era chiaro a tutti che con gli anni 2000 si era entrati in una nuova fase nella gestione dei rifiuti e che la discarica era uno strumento del passato da ridurre ai minimi termini. Non solo a Malagrotta, ma in tutta Italia. E a partire da quegli anni varie soluzioni vengono avanzate. Dallo stesso Cerroni che realizza a Malagrotta un impianto di gassificazione, tecnologia d’avanguardia oggi in auge, che ha funzionato per due anni fra il 2009 e il 2011 poi mai dotato dell’autorizzazione definitiva, perché secondo il Pd “non c’era bisogno di un impianto di termovalorizzazione”, come poi venne scritto nel piano regionale dei rifiuti definito dalla Giunta Zingaretti. Ignoranza abissale che confonde tecnologie diverse, tanto è vero che oggi la gassificazione viene presentata come un’alternativa alla termovalorizzazione. Ma lasciamo perdere. Ci provò anche l’Acea,  azienda controllata dal comune di Roma, con modesti risultati. Il fatto è che la materia scottava, passando da un commissario all’altro, ma sempre trovando proteste e contestazioni dal combinato disposto fra ideologismo verde e l’opposizione di vari comitati locali. In poche parole nessun amministratore ebbe il coraggio di fare quello che con 20 anni di ritardo sta oggi facendo Gualtieri. Cosi si arriva a Marino che, con una certa dose di demagogia, decreta la chiusura di Malagrotta. Alternative? Zero, come da prassi. Stessa storia con la pirotecnica sindacatura della Raggi, chiacchiere e distintivi, e da allora Roma sta praticamente in continua emergenza, affrontata fondamentalmente con l’esportazione dei rifiuti fuori dal Lazio e dall’Italia, con costi scaricati sulla Tari dei romani. Ma ci voleva il colpo finale. E così la procura romana monta l’ennesimo processo spettacolo contro il grande vecchio, anzi il “Supremo” come venne definito dal  processo mediatico, vale a dire Cerroni e i suoi soci. Accuse: associazione a delinquere, corruzione, frequentazioni mafiose, e via aggiungendo con punte di grottesco come quando a Cerroni  fu imposto, dopo gli arresti domiciliari, di risiedere fuori dal Comune di Roma a… Fiumicino! Erano gli anni in cui un’altra inchiesta, battezzata Mafia Capitale, era in corso e spesso nell’opinione pubblica le due cose erano associate e la capitale toccava uno dei punti più bassi della sua storia. Risultato finale: Cerroni completamente assolto e nella motivazione i giudici scrissero che “aveva agito nell’interesse pubblico”. Ma lo smacco subito evidentemente non basta e quindi ecco partire un altro procedimento questa volta basato su presunti inquinamenti provocati dalla discarica. Per arrivare a questo risultato vengono cestinati i risultati dell’indagine di Ispra, commissionata dal tribunale, che aveva assolto la discarica, le perizie della facoltà di ingegneria di Roma, pubblicate su riviste specializzate, e invece si preferisce dar credito a una relazione affidata dall’amministratore giudiziario ad una società privata , che avrebbe poi dovuto anche fare il progetto di risanamento, la quale ovviamente trova quel che si voleva trovare. Ragion per cui Malagrotta resta sequestrata e lasciata nelle mani di un amministratore giudiziario e nel corso del suo mandato vanno a fuoco per imperizia  gli impianti di trattamento là collocati. Altra emergenza.

Ora vedremo come si concluderanno i procedimenti in corso. Se i titolari di Malagrotta dovessero essere assolti va a monte tutta la costruzione secondo la quale Malagrotta va bonificata con opere straordinarie (incluso un secondo polder)  che sembrano pensate più per tacitare l’opinione pubblica che per reali motivi. E dovrebbero essere messi in discussione i quattrini pubblici là spesi forse inutilmente. Oppure Malagrotta sarà espropriata a favore del comune. In attesa di un nuovo Petroselli e di un nuovo Cerroni per prendere atto che nel frattempo tutto andrà in malora. Come già sta succedendo. Malagrotta non meritava questa fine. Le discariche non sono belle, ma sono servite per decenni a Roma e in Italia per liberarci dai  nostri rifiuti. E in parte servono e serviranno ancora. Quando saremo capaci di riconoscere la nostra storia anziché distruggerla animati da furori ideologici non sarà mai troppo presto. 

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