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Roma Capoccia

Cosa dovrebbe fare il governo con i poteri di Roma Capitale

Andrea Venanzoni

La città attende ormai da decenni l'attuazione dello statuto riconosciuto nella riforma del Titolo V e poi rimasto tendenzialmente inattuato. Giorgia Meloni ne ha parlato nel suo discorso di fiducia in Parlamento, ma c’è un pericolo: la politicizzazione del tema

A governo non ancora insediato, il presidente della regione Veneto Luca Zaia ha ricordato allo schieramento di centrodestra come la sua regione attenda l’attuazione del regionalismo differenziato previsto dal comma terzo dell’articolo 116 della Costituzione e per cui in Veneto, e non solo in Veneto, si è tenuto anni fa uno specifico referendum.

La sirena del federalismo è indirizzata a Salvini, certo, ma anche se non forse soprattutto a Meloni, i cui straripanti consensi in quelle terre che furono roccaforte della Lega nord e della Liga veneta denotano uno scientifico travaso di voti la cui contropartita dovrebbe tramutarsi ora in un abbassamento del livello di centralismo e di romanocentrismo del partito di Via della Scrofa. Paradossalmente, se al nord reclamano la realizzazione della differenziazione funzionale, amministrativa e gestionale, Roma stessa attende ormai da decenni la attuazione del suo statuto di Capitale d’Italia, riconosciuta per tale nella complessiva riforma del Titolo V e poi, via via, rimasta tendenzialmente inattuata, se non per alcune singole minuzie. Nel suo discorso di fiducia, ieri in Senato e martedì alla Camera, Meloni vi ha fatto riferimento esplicito. I recenti lavori in Commissione Affari Costituzionali, con la produzione ad aprile 2022 di un testo di riforma costituzionale unico, sintesi di altri disegni di legge, a mente del quale la Capitale diventerebbe una città-regione munita di potestà legislativa da concordare ratione materiae per via di intesa con la regione Lazio, hanno impresso una qualche accelerazione a un processo per anni rimasto a prendere polvere, tra roboanti annunci e stasi più assoluta.

Il momento potrebbe apparire propizio. Non solo per il vero o presunto romanocentrismo della forza di maggioranza del governo, quanto per il fatto che alcuni suoi esponenti, a partire dal recentemente riconfermato vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, da anni animano un dibattito per il riconoscimento dell’effettivo status di Capitale a Roma, come la Costituzione all’ultimo comma dell’articolo 114 prevede da ormai ben 21 anni. Per quanto paradossale possa apparire, un autentico federalismo che valorizzi le regioni in punta di autonomia differenziata deve passare anche per la piena realizzazione dell’ordinamento altrettanto differenziato della capitale d’Italia. E se il diritto pubblico è tra tutti i rami del diritto quello in cui l’intreccio tra politica e sfera giuridica appare più laocoonticamente stretto, la vicenda dello status di Roma Capitale, per le contingenze politiche dell’insediamento del nuovo governo e soprattutto per il ritorno alle urne in regione Lazio con l’anno nuovo, presenta un oggettivo surplus, e rischio, di politicizzazione. Infatti, il nuovo presidente di regione sarà chiamato a una non facile mediazione con la Capitale per la cessione di alcune funzioni legislative, scelta non indolore in termini di esternalità politiche. Proprio per questo, l’approccio alla materia dovrà rivestire un altissimo profilo istituzionale cercando di rifuggire il più possibile dai piccoli interessi di politica politicante.

Fino ad oggi Roma è stata sussidiata in maniera estemporanea con leggi-provvedimento, gestite in maniera abborracciata e senza visione di insieme. I poteri, non solo le finanze, del governo cittadino sono spuntati a fronte invece di sfide queste sì “capitali”, in termini di eventi, rappresentanza diplomatica e istituzionale, con il Giubileo alle porte e ci si augura anche l’Expo. La macro-struttura amministrativa obsoleta e da ente locale impone un restyling completo, laddove chiamata davvero all’esercizio di potestà legislativa. Colpe evidenti le ha la classe politica cittadina che ha da sempre ragionato con scarsissima prospettiva di insieme. Proprio per questo, la rimodulazione della forma giuridica dovrà andare di pari passo con una rimodellazione delle strutture tecniche e amministrative chiamate a dare attuazione concreta alla “capitalità” della città e soprattutto a un diverso approccio della politica, meno partigiana e più ecumenicamente devoluta alla idea che Roma è la Capitale di tutti.

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