Foto Imagoeconomica

“Io svuoterei il centro di Roma dai ministeri per farne un museo diffuso”

Gianluca Roselli

Idee e contemporaneità per un rilancio cittadino. Parla Monique Veaute, presidente del Romaeuropa Festival

Roma. “Io a Roma non mi annoio mai”. Monique Veaute è la presidente della fondazione del Romaeuropa Festival, forse l’unica vera grande manifestazione culturale della Capitale. Quella del 2019 sarà la 34esima edizione, in programma dal 17 settembre al 24 novembre. Oltre due mesi di musica, teatro, danza, performance, mostre, installazioni e arti visive per un totale di 128 eventi, con 377 artisti provenienti da 27 paesi. Ci saranno artisti dal Brasile al Giappone, passando per le Fiandre, dalla danza selvaggia di Lia Rodrigues alle sonorità lievi e profonde di Ryuchi Sakamoto. Una ventina gli spazi coinvolti, dal centro alle periferie. Il titolo di quest’anno è Landscapes. Paesaggi. Veaute è una tedesca cresciuta in Alsazia, ha studiato a Strasburgo e poi si è trasferita, a Parigi. Nel 1986 è arrivata a Roma per dirigere il Festival di Villa Medici. Poi è stata tra i fondatori del Romaeuropa Festival. “Questa città è incredibile. Quando sento dire che non funziona nulla, che va tutto male, mi arrabbio. Ci sono i problemi come in tutte le grandi capitali, ma pure eccellenze. Io sono una privilegiata, perché mi rapporto con il mondo artistico e culturale. Da questo punto di vista Roma resta una città viva, con un respiro internazionale. Semmai il problema è che spesso ci si muove come tante tribù, ognuno nel suo mondo, col suo piccolo gruppo magari auto referenziale. Bisognerebbe sconfinare, fare sistema”, sostiene Monique.

 


Monique Veaute (foto Imagoeconomica)


  

Siamo nella sede della fondazione, uno spazio molto urban style nel cuore di ostiense, a due passi dal gazometro, uno dei quartieri più creativi della città: qui ci sono studi di architettura, di design, di post produzione cinematografica. L’accento franco-tedesco di Monique Veaute (che ha sposato un italiano, l’ex deputato del Pd Marco Causi) ricorda quello di Philippe Daverio. “Quando sono arrivata Jack Lang mi disse: devo presentarti una persona, è il mio modello. Era Renato Nicolini, creatore dell’estate romana. Ecco, mi piace pensare al nostro festival come a un’estate romana contemporanea, ma in autunno…”. Fino a tre anni fa il Festival si barcamenava tra risorse scarse e la difficoltà di trovare luoghi per gli spettacoli. Poi Comune di Roma e Mibact ne hanno capito l’importanza. “Con Luca Bergamo lavoro bene. Mi piaceva molto Francesco Rutelli: aveva una visione sul futuro ed era proiettato sulla contemporaneità…”, afferma Monique.

 

“L’edizione del 2019 – continua – avrà un approccio politico, poetico e provocatorio. Ci saranno tanti eventi gratuiti, anche in luoghi lontani dal centro. Abbiamo un pubblico sempre più giovane e colto: quasi il 60 per cento ha tra i 18 e 44 anni, il 62 per cento è laureato. L’idea è quella di superare le barriere tra le arti, muoversi per linee trasversali, dove ognuno si costruisce il suo percorso”. Roma ed Europa, un brand azzeccato. “Ho madre tedesca e padre francese, e vivo in Italia. L’Europa è fondamentale, senza barriere. Pensavamo che il muro di Berlino fosse l’ultimo, invece se ne costruiscono in continuazione”.

 

Roma però arranca, fa fatica ha trovare una sua identità. La sua ricetta? “Valorizzare il patrimonio artistico e culturale legandolo alla contemporaneità. Svuotare il centro da politica e ministeri per trasformarlo in un museo diffuso. Puntare sull’identità dei quartieri, in periferia ci sono posti incredibili. Usare i luoghi storici per manifestazioni insolite, come il festival della musica elettronica a Villa Medici. Poi creare un grande evento culturale: una settimana dedicata all’architettura, per esempio. Oppure alla scienza e tecnologia, un settore dove il Lazio è all’avanguardia. Roma deve credere un po’ di più in se stessa, in quello che fa. E presentarlo bene”.

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