La nuova scena musicale romana è una bomba
Coez, Calcutta, Dark Polo Gang, Carl Brave e Franco 126… Fanno il pieno dove persino De Gregori fatica
Va bene: per un momento accettiamo perfino di prendere l’appena concluso Festival di Sanremo come metronomo di quanto di musicale si muove qui da noi. Ampia rappresentanza romana. Limitandoci ai cantautori, Fabrizio Moro (che ha pure vinto), Mirkoeilcane (valoroso premio della critica tra i giovani) e Ultimo (vincitore nuove proposte). Tra loro si tolgono l’un l’altro circa dieci anni. E’ un quarantenne Moro, un trentenne Mirko e appena un ventenne Ultimo. Al posto della piccola borghesia di una volta, hanno comune estrazione popolare: due vengono da San Basilio e uno, Mirko, dalla Garbatella. Se ci si basa su ciò che racconta il Festival, sono loro le nuovi voci romane da seguire con attenzione. Ma badate: stiamo parlando di Sanremo, mainstream assoluto, dove ogni anno si ricelebrano santi consacrati come De André e Tenco e dove ancora si discetta del perché De Gregori, Venditti e Renatino, si rifiutino di venire, anche l’anno in cui uno come loro – romano, cantautore, sessantenne: Claudio Baglioni – ha diretto le operazioni.
Il “ghost in the machine” che vogliamo intrappolare è che tanta musica passa sotto i ponti, ma qualcuno sembra non accorgersene, o finge di non vedere. Ovvero che esistono tante diverse “verità” musicali, ma che per afferrarle bisogna spingersi oltre la superficie mediatica, anche se limitiamo l’osservazione dentro il Raccordo Anulare. Ecco perché se parlate di Sanremo con un capannello di studenti troverete una cerchia di sguardi vuoti: non è roba loro, quelle canzoni non le capiscono, non le sentono proprie, i personaggi non sono quelli che seguono e in cui si riconoscono. Il loro suono di Roma è diverso. Del resto la cosa paradossalmente si ripeterebbe anche se provaste a elencare loro i nomi dei bravi protagonisti della prima rinascita cantautoriale nella capitale, quella della seconda metà anni Novanta quando si rivelò un gruppo di artisti che sembrava in perfetta sintonia con i tempi: Daniele Silvestri, Niccolò Fabi, Max Gazzè, Alex Britti, Zampaglione, Senigallia e i Tiromancino. Stessa storia: sono passati vent’anni. Non facciamo finta di non saperlo. Questione di sincronismo e di appartenenza. A ciascuno il suo.
I teenagers/ventenni del 2018, dunque, hanno la loro musica, nata all’interno del loro gruppo e intimamente connessa coi sentimenti condivisi. Poco importa che il mondo circostante, che pure si descrive ipermediatizzato, paia non accorgersene e racconti altre storie. Poco importa che a Sanremo, la musica di Roma diventi quella di Moro, Mirko e Ultimo, che sono ottimi artisti, ma costituiscono una versione periferica di ciò che veramente muove le emozioni giovanili in città. Buon per loro che lo show business li abbia scelti come emblemi, tralasciando che tra i ragazzi della Capitale e la loro musica nello stesso tempo accadano tante altre cose: a esempio che il Palasport finisca esaurito per il concerto di Coez, con quel suo suono sweet trap che discioglie le platee under20.
Che siano affollate all’inverosimile le serate consecutive in cui all’Atlantico vanno in scena Carl Brave e Franco 126, punta dell’iceberg della posse trasteverina 126 (tanti quanti i gradini per salire al Gianicolo), che sintetizza fatti e stili di vita dei coetanei molto più efficacemente di un tiggì.
Che attraverso social e streaming siano nati miti locali che invadono la Penisola e hanno più rappresentatività di quanta ne avesse la musica indie a fine secolo scorso: basti seguire l’introversa, ipocondriaca, poeticissima parabola dei Cani di Nicolò Contessa, pedinare la sincopata sitcom collettiva chiamata Dark Polo Gang, ascoltare le ballate indolenti di Gazzelle e Ketama, sancire Calcutta conosca il cuore dei fans come nessun altro – sennò perché ogni canzoncina che pubblica in Rete viene imparata religiosamente da migliaia di studenti e citata commossamente sugli autobus delle 7 della mattina? Perfino la vicenda dei Maneskin, nuovi poseur a cui misteriosamente non è stato attribuito l’X Factor 2017, ma che si sono presi una popolarità liceale come non si ricordava da tempo, vanno iscritti al quadro di quella che, a tutti gli effetti, è una scena parallela, visibilissima ai giovani consumatori, ma obnubilata allo sguardo dei grandi media.
Che a Sanremo provano a raccontare Roma con altri personaggi, dall’aria vagamente replicante. Non importa: anche se adesso parlare di underground è un po’ ridicolo, questi nuovi eroi muovono le folle e stuzzicano l’immaginazione, mentre per i loro cloni televisivi tutto è ancora da costruire. Se avranno la stoffa, riusciranno. Prendete Ultimo, che vocalmente somiglia al giovane Tiziano Ferro, trapiantato nei ritmi del presente. Nonostante il frullatore sanremese, lui mantiene un’aria diretta e ha l’espressione infiammata. Magari nel giro di pochi mesi uscirà dalla prigione televisiva e dalla sgangherata macchina del tempo sanremese. Acquisterà sostanza e credibilità. Allora che abbia vinto Sanremo Giovani non se lo ricorderà nessuno. Ma la sua voce racconterà brandelli della Roma d’oggi. Quella che da un pezzo non è più Capoccia, ma per i ragazzi continua a essere maggica.
Dopo il concorso, il nulla?