C'è chi occupa. E c'è chi inventa: "Portiamo la vita all'Esquilino"

Giuseppe De Filippi

Parla Umberto Montano, l’ideatore del Mercato che ha reso di nuovo frequentabile un tratto di via Giolitti

Roma. Non dissimula Umberto Montano se richiesto di parlare del suo Mercato Centrale, non fa il furbo o il gentiloniano, lui è “fe-li-ce e sod-dis-fat-to” e i risultati della sua iniziativa a Roma, ora che si è consolidata, “sono en-tu-sia-sman-ti”. Anche se il suo modo di parlare è dolce e suadente e lontano dal militaresco scandito le sue parole vanno scritte così. Perché non vuole equivoci né far pensare a rielaborazioni, cambi di strategia, operazioni a breve termine. Anzi, adora il lungo termine e palesemente ha creato un luogo che dà tempo a chi ha radici antiche. Ha tradotto in business tanti bla-bla convegnistici, quelli sulla bravura artigiana, sul saper fare, sulle esperienze da coltivare. Strappando quei temi alle poltroncine, ai palchi, ai tavoli con l’acqua minerale, li ha resi vivi e ne ha fatto la sua impresa. Ne ha fatto il suo commercio, perché, ci spiega, al Mercato, come lo chiama lui levando il centrale ma con un’ideale maiuscola impossibile nel parlato, non comprate prodotti ma comprate la presenza di persone che sanno fare qualcosa. “E non funzioniamo come se fosse tutto al nostro interno, ma interagiamo con il quartiere circostante, anche con rapporti intensi con il Teatro Ambra Jovinelli, con la Discoteca Laziale, con il Radisson Hotel. Anche perché – ci dice – qui il rapporto tra frequentatori, come dire, stanziali, tra cui mettiamo anche i turisti che stanno per qualche giorno a Roma e i viaggiatori che devono prendere il treno è di 80 a 20, perché noi siamo in stazione ma non siamo un luogo di transito. Numeri che ci hanno inserito pienamente nella vita del quartiere”.

 

Tradotto in rapporti con amministrazioni e organizzazioni economiche significa “rapporti ottimi con Grandi Stazioni, la società proprietaria del grande e bello spazio coperto, rapporti perfettamente avviati con il primo Municipio e la sua presidente Sabrina Alfonsi e con le rappresentanze di quartiere”. E il Comune? “No, dal Comune – ci dice senza esitazioni ma apparentemente anche senza rimpianti – non ho mai sentito nessuno”. Il degrado della zona? “Il degrado – ci dice – c’è dove non c’è vita e noi ne abbiamo portata”. E senza l’80 per cento di frequentatori “non viaggianti” questa iniezione di vita non ci sarebbe stata, perché il pubblico stanziale ha effetti completamente diversi sui luoghi che frequenta rispetto a chi passa e se ne va.

 

Altre proposte? Possibili nuove aperture? “Mi cercano ovunque – risponde ancora una volta non gentiloniano (o iper gentiloniano?) – ma non possiamo aprire ovunque. Noi possiamo andare solo dove c’è una forte identità nella produzione artigianale, ciò che sappiamo fare è valorizzare quella identità. Per questo non potremmo fare ‘N’ mercati , non siamo riproducibili solo con un investimento, un brand e un luogo dove insediarci”. Arriva l’inevitabile parallelo con Eataly e si coglie in Montano una lunga precedente riflessione sul tema. “In sostanza – ci dice – Eataly è un’esperienza molto positiva, con cui abbiamo anche collaborazioni, ma che è diversa da noi. Loro sono i più bravi di tutti nella selezione e scelta di prodotti di alta qualità da vendere con la modalità demistificante del supermercato, per noi invece non contano solo i prodotti ma anche, come presenza fisica, i produttori e la loro bravura, noi offriamo spazio e tempo a chi ha qualcosa da offrire”. Opportunità colta, andando contro corrente, da due storici norcini romani: i fratelli Volpetti. Il loro negozio in via della Scrofa lo hanno venduto, assieme al marchio familiare, ma ora, invece di gettarsi nella passione nazionale del pensionamento, e sapendo il fatto loro, sono ogni giorno al banco dei formaggi (quello del grande Beppe Giovale) a fare i super commessi, dare consigli, divertirsi.

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