A Roma i quartieri storici sono stati invasi dai minimarket

Marco Sarti

Solo in centro sono un migliaio gli esercizi “bangla”. A luglio il piano dell’assessore Meloni per fermare nuove aperture

Sono aperti di giorno e di notte, non c’è festivo che tenga. Vendono detersivi, biscotti, verdura, soprattutto birre e superalcolici. E così, nel giro di pochi anni, la città è stata invasa da piccoli minimarket tutti uguali. Pochi metri quadrati, merce esposta in vetrina, dietro il bancone c’è quasi sempre un sorridente commesso extracomunitario. Bangladese, nella stragrande maggioranza dei casi. Dilagano nei quartieri più antichi e in periferia: Monti, San Lorenzo, Trastevere, Testaccio. Un fenomeno inarrestabile che, insieme alla diffusione dei negozi di souvenir e paccottiglia varia, sta cambiando il volto del centro cittadino. Con tanti saluti alle botteghe storiche che continuano a chiudere.

 

E’ una realtà difficile anche solo da quantificare. Secondo i dati del Campidoglio in centro si contano 3.200 esercizi di vicinato alimentare. Il 18 per cento di tutta Roma. Sono attività che non hanno tavolini, non possono somministrare alimenti e bevande. Quanti di questi sono minimarket? “Tantissimi, almeno un migliaio” racconta Pietro Lepore, presidente di Fiepet-Confesercenti. In assenza di una specifica categoria commerciale, è impossibile avviare un censimento più preciso. Confesercenti ha stimato l’esistenza di 5.428 imprese di questo tipo in tutto il Lazio, il 67 per cento di queste nella provincia di Roma. “Il problema esisteva già nel 2013, quando ci siamo insediati” spiega Sabrina Alfonsi, presidente del primo municipio. “Ma oggi sta aumentando senza controllo”. Una diffusione agevolata dalla burocrazia. “Per aprire basta una semplice comunicazione Scia” dice l’esponente del Partito democratico. E così la città cambia volto. “Il dilagare di questi esercizi uccide gli alimentari storici, i negozi di vero vicinato. Ne conosco diversi che sono in grande sofferenza, prima o poi chiuderanno”. E’ un fenomeno complesso, che finisce per squalificare i quartieri più antichi aumentando un’offerta turistica di serie B. Senza dimenticare i problemi connessi al consumo senza limiti di alcolici, “spesso venduti anche ai minori”.

 

Intanto i minimarket crescono di numero. Diventano parte integrante della Capitale, quasi un aspetto caratteristico del centro storico. Pochi anni fa qualcuno ha persino creato un’app per mappare i tanti esercizi in attività, “Bangla di Roma”. Il nome non è casuale. Buona parte di questi negozi sono in mano a cittadini del Bangladesh. Nel commercio al dettaglio in sede fissa è questa la tipologia di esercizio con maggiore presenza straniera, spiegano da Confesercenti. L’attività di riferimento per i cittadini bengalesi, titolari di circa il 72 per cento dei minimarket a conduzione non italiana. Un business gestito all’interno della comunità, in regime di quasi monopolio. Ma anche una realtà tipica della Capitale. Secondo i dati Istat, infatti, il 28 per cento dei 142 mila cittadini del Bangladesh presenti in Italia vive proprio nel Lazio. E qui si trova quasi la metà delle 28.000 imprese individuali che hanno aperto nel nostro Paese.

 

Gli esercenti romani si lamentano. Due anni fa Lepore ha presentato un esposto alla Guardia di Finanza per denunciare la concorrenza sleale di queste attività. Protagoniste, a sentire lui, di frequenti evasioni fiscali. “Troppo spesso – così aveva spiegato – assistiamo a comportamenti scorretti da parte di questi minimarket che vendono anche bevande alcoliche. In questo caso, però, invece di battere regolari scontrini con il 22 per cento di Iva, battono scontrini con il 4 per cento di Iva come se vendessero frutta o altri generi alimentari di prima necessità”. Come intervenire? Sabrina Alfonsi racconta di aver già avanzato alcune proposte. Chiedendo in tempi non sospetti di vietare la vendita di alcolici e limitare gli orari di apertura. “Un esercizio di vicinato – spiega – non può essere aperto tutta la notte”.

 

Adesso l’amministrazione grillina corre ai ripari. Negli ultimi mesi, raccontano in Campidoglio, l’assessore allo Sviluppo Economico, Turismo e Lavoro Adriano Meloni ha avviato una serie di consultazioni con le organizzazioni di categoria e le associazioni dei residenti. Al centro del confronto c’è un nuovo regolamento per la tutela delle attività commerciali e artigianali della Città Storica. Il documento è già stato depositato, è in fase di esame del segretario generale. Entro luglio potrebbe arrivare in giunta. Con l’obiettivo di limitare il fenomeno dei minimarket, si ipotizza l’introduzione di criteri di qualità per la merce in vendita. Norme valide per gli esercizi ancora da aprire e per le attività già esistenti (si sta studiando un sistema per evitare ricorsi). A tutela del decoro urbano, poi, presto potrebbe essere vietata l’esposizione di prodotti a terra o vicino alla soglia del negozio. Con l’ulteriore divieto di conservare le bevande nei frigoriferi a vista. In arrivo anche uno stop alle licenze. L’assessore pensa di bloccare l’apertura di nuovi minimarket, almeno nei rioni dove già si concentrano troppi esercizi di vicinato. Monti, soprattutto. A seguire Trastevere e l’Esquilino. 

Di più su questi argomenti: